Marche sconosciute che vendono vestiti praticamente uguali a quelli delle passerelle e dei Red Carpet a prezzi bassissimi. 10, 12 nei casi peggiori 20 euro per abiti da favola che poi, una volta a casa, si rivelano essere molto diversi da quelli postati. Skuola.net riferisce di una truffa sulla quale ha indagato BuzzFeed News scoprendo che migliaia di ragazze hanno perso tantissimi soldi che sono invece finiti in mano ad aziende cinesi.
Le aziende che si mascherano dietro marche note, secondo BuzzFedd, sono: Zaful, SammyDress, DressLily, rosegal, RoseWe, TideBuy, choies e Romwe.
TRUFFA Vs REALTÀ - Tutto sembra perfettamente legale e attraente: le immagini degli abiti (che poi risultano rubate dal web), gli annunci aggressivi che quasi urlano di ordinare subito e certificati di sicurezza da PayPal e Norton Security. Cascarci e davvero troppo facile. Ma quando e se arrivano, i capi non corrispondo per niente a quelli visti dai post su Facebook. A BuzzFeed le ragazze hanno raccontato di aver ricevuto vestiti che potevano essere indossati solo da bambini per quanto piccoli e stretti, di colori diversi da quelli ordinati e di materiali di dubbia qualità. A volte - come ha rivelato qualcuno - odoravano persino di sostanze chimiche: "Hai mai fatto biologia? - ha detto una ragazza - Hai presente quando devi sezionare un maiale o una rana e senti quel tremendo odore di formaldeide? Ecco, il vestito che ho ricevuto puzzava proprio così".
LE PROTESTE SU FACEBOOK - Così in migliaia hanno denunciato tutto, pure aprendo diversi gruppi Facebook che invitano gli altri utenti a fare attenzione e a diffidare da queste marche. Ma loro continuano imperterrite a postare sul social di Zuckerberg, luogo perfetto per attirare giovani donzelle senza essere troppo controllati dalla Polizia.
QUEL VESTITO NON È MIO! - Ma veniamo alle esperienze vere e proprie riportate da BuzzFeed. C'è Griffeth per esempio che racconta di aver comprato un cappotto da DressLily lo scorso autunno dopo aver visto il post su Facebook. Sei settimane più tardi ha ricevuto un indumento sottile, di quelli a buon mercato e di un colore più chiaro di quello visto sul social. Pure la taglia era molto più piccola della misura del prodotto pubblicizzato online. Ci sono voluti mesi di avanti e indietro con l'azienda e PayPal prima che riuscisse ad avere i suoi soldi indietro. E lei fa parte del piccolo gruppo di fortunate che ce l'hanno fatta a rivederli i loro soldi.
E FACEBOOK CHE FA? - Ma come è possibile che Facebook non si accorga di truffe del genere? BuzzFeed glielo ha chiesto. La risposta è stata che le regole del social sono molto più concentrare a controllare il linguaggio e le immagini degli annunci e ha sottolineato che le sue politiche proibiscono di postare immagini rubate e contenuti ingannevoli, falsi o comunque fuorvianti. Ma questo non ha fermato gli inserzionisti dal rubare foto da tutto il web, Instagram compreso, e di utilizzarle per truffare gli utenti di Facebook. Succede addirittura che parecchie volte le immagini vengano rubate a fashion bloggerche hanno un account Instagram ma non Facebook, e che non si accorgono che le loro foto sono state usate per altri scopi fino a quando qualcuno non glielo segnala in qualche commento.
CINESERIE - Dall'indagine condotta da BuzzFeed è emerso che i marchi DressLily, RoseWholesale, RoseGal, SammyDress, Zaful, Nasty Dress, TwinkleDeals, and TrendsGal riconducono tutti a una sola società cinese, la ShenZhen Global Egrow E-Commerce Co., o Global Egrow. Lo stesso indirizzo email, Admin@GlobalEGrow.net è collegato ad altri siti e ad altri 41 domini, inclusi quelli di venditori di giocattoli ed elettronica come VolumeBest.com and GearBest.com. Si tratta di un'azienda fondata nel 2007 e cresciuta rapidamente tanto che a oggi ha raggiunto i mille dipendenti e un fatturato di 200 milioni di dollari nel 2014, secondo quanto si legge sul suo sito. BuzzFeed ha provato a contattare la Global Egrow senza riuscire ad andare oltre la receptionist. Al massimo è riuscita a scambiare qualche battuta con una tale signora Ren che ha detto di non essere a conoscenza di reclami ricevuti.
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