"Sei mia o di nessun altro". Nei recenti femminicidi emerge l'incapacità dei maschi violenti, anche giovanissimi, di accettare un rifiuto. Ma c'è anche la difficoltà di molte giovani a percepire alcuni comportamenti, come il controllo dello smartphone, come violenza. "Occorre agire subito, con l'educazione affettiva che coinvolga non solo scuola, ma famiglie e società in modo trasversale", spiega Maria Spiotta, psicologa di Differenza Donna, che gestisce il numero antiviolenza 1522.
La violenza di genere, sottolinea la psicologa, "ha un sommerso importante: anche sulle vittime si parla di numero oscuro. Non c'è una sola causa di questa violenza, ma un legame con la cultura del possesso c'è, in una società intrisa di stereotipi rispetto ai ruoli maschili e femminili". Nelle facoltà scientifiche, ad esempio, le immatricolazioni delle ragazze sono basse. Un problema che nasce da piccoli, spiega l'economista Azzurra Rinaldi: studi sul divario di genere nelle aspirazioni (dream gap) evidenziano come molte bambine già a 5 anni non si sentano "intelligenti". Nei libri, fin dalla primaria, "la mamma stira, il papà lavora", aggiunge l'economista autrice del volume "Le signore non parlano di soldi".
Al 1522, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, sono aumentate le chiamate di ragazze che, di fronte a un atto violento, parlano di "discussione" o "gelosia". "Raccontano, ad esempio, che non riescono a prendere la parola nella relazione, ma hanno difficoltà a individuare la violenza. Bisogna dare un nome alle cose", spiega Maria Spiotta. "Serve anche tornare a trasmettere empatia. Ben venga l'educazione affettiva nelle scuole di ogni ordine e grado, meglio se curricolare - purché coinvolga le famiglie, fondamentali nel dialogo con i figli - e sia fatta da esperte che lavorano sul campo da anni", conclude la psicologa.
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