Meno possente e spaccone, più maturo e riflessivo ma con la stessa voglia di determinare, incidere e stupire. Il tempo, alla fine, ha cambiato Zlatan Ibrahimovic ma non la percezione del suo io più profondo, sempre ricco di autostima e consapevolezza: il ragazzo con le mèches mai uscito da Rosengard, il ghetto di Malmoe, è diventato in 20 lunghi anni di carriera un uomo di mondo, un affettuoso padre con un look da samurai. La chioccia perfetta per disciplinare un gruppo inesperto.
Ma Ibrahimovic si sente prima di tutto "un giocatore attivo", chiamato però anche ad "aiutare" e "massimizzare" il potenziale altrui: non vuole essere una "vecchia gloria", "una figurina" o "la mascotte che balla in campo", gli piacerebbe anche evitare la passerella dell'Epifania contro la Sampdoria perché è convinto di essere "pronto a giocare da subito" in questa "sfida con se stesso", alla ricerca di "adrenalina e non di soldi". Non si allena in gruppo e non tocca un pallone da poco più di due mesi ma per chi ha classe da vendere, il suo caso, non è certo un problema: al massimo - dice lui - "più che correre calcerà in porta da 40 metri". "Sarò ancora più cattivo", la sua prima battuta in un 'one-man show' durato 38 minuti e in cui scherza anche su Nocerino ("con me si è trovato bene lui, facevo tutto io"), corregge un cronista sul numero di gol segnati ("non sono 373 ma più di 500") e ironizza sulla bontà di un cavallo da corsa chiamato 'Ibra Supremacy' che andava meno forte di lui ("allora facevi prima a comprare me").
Il suo carisma è debordante: è seduto tra Boban e Maldini - non due personaggi qualunque - ma gli occhi di tutti sono solo per lui tanto che il primo - e unico - intervento del croato arriva per chiudere la conferenza: "La sconfitta orrida e inaccettabile di Bergamo non va dimenticata, siamo orgogliosi di poter riabbracciare Zlatan, un giocatore unico, ma non possiamo nasconderci dietro le sue spalle larghe. Dobbiamo cambiare il corso della stagione e fare risultati". Parole dure ma ben centrate per un dirigente che vuole richiamare la squadra alle proprie responsabilità. Stupiscono in tal senso l'assenza dell'ad Gazidis - affaccendato altrove per altre questioni, doveva inizialmente sedersi in prima fila - e il silenzio di Maldini, incalzato due volte senza successo. Ibrahimovic traccia la via: "Non esistono scorciatoie. Per arrivare al top serve lavorare tanto, duro e forte e saper poi soffrire. Io non sono al Milan perché sono Ibrahimovic, incomincio da zero e devo produrre risultati". Del perché finora non siano arrivati - né con Giampaolo, né con Pioli - non ha una risposta univoca, per questo non fa promesse su un posto in Europa o su cosa dovrà fare per dare la svolta ad una stagione che indica nel Milan l'undicesima forza del campionato. Da quel "sono qui per vincere tutto" di quel caldo 29 agosto 2010 tutto è cambiato al Milan. Ma soprattutto è cambiato Ibrahimovic.
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