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A 20 anni dalla legge Bosman: "Io l'unico a pagare, ma lo rifarei"

A 20 anni dalla legge Bosman: "Io l'unico a pagare, ma lo rifarei"

"Da mondo calcio nemmeno un grazie. E se attacchi Fifa e Uefa.."

11 dicembre 2015, 09:42

Sandro Verginelli

ANSACheck

Non è stato Pelè, non ha incantato come Maradona, non è diventato certamente miliardario come CR7 o Leo Messi ma se il calcio è diventato quello che è oggi, non solo spettacolo ma soprattutto business, lo deve a un anonimo calciatore belga, con un passato allo Standard Liegi e un futuro da semialcolizzato e disoccupato. E già, perchè è stato Jan Marc Bosman a segnare uno dei gol più importanti della storia del calcio. Una rete che non è finita nella porta avversaria o in qualche almanacco ma nelle aule dei tribunali e infine nei codici della Legge.

Quell'assist gli è costato tanto, gli è costato caro ma a 20 anni di distanza da quel 15 dicembre 1995 - quando la Corte di Giustizia del Lussemburgo emise quella sentenza storica, decretando che all' interno dell'Ue il trasferimento di giocatori in scadenza di contratto sarebbe dovuto avvenire senza alcun indennizzo, liberalizzando di fatto il mercato del calcio - Jan Marc Bosman non si è mai pentito: "Ho fatto quello che era giusto fare e sono orgoglioso di questo - spiega l'ex giocatore in un'intervista all'ANSA, nel ventennale della sentenza - anche perché tutti dicono che la Legge Bosman è stato il caso legale del secolo nello sport. Certo, avrei preferito che un altro calciatore avesse fatto quel passo al mio posto - ci scherza sù Bosman che da quella sentenza non ci ha guadagnato un centesimo - ma è stato un sacrificio ben speso. Ho iniziato la mia battaglia legale che avevo 26 anni, in un momento importante, cruciale nella carriera di un calciatore e l'ho pagata a caro prezzo", aggiunge l'ex calciatore che ha dovuto aspettare 5 anni per vedere riconosciuti i suoi diritti in tribunale, quando però era ormai tardi (finì la carriera nel 1996 nel Visè, seconda divisione belga).

Un lasso di tempo che gli è costata la carriera, piccola o grande che sarebbe potuta essere, anche se Bosman non è mai stato un calciatore di 'prima fascia' (Saint-Quentin, Charleroi le sue squadre in quegli anni). "Si - riconosce oggi - ho pagato un prezzo altissimo, perché nel momento in cui si attacca la Fifa o l'Uefa è chiaro che la tua carriera è danneggiata, finita. E stata una battaglia lunga e snervante che ha sfidato le autorità calcistiche e in ballo c'erano tanti e tanti soldi, ma questo lo sapevo perché oggi il calcio è politica. La FIFPro mi ha sostenuto ma non c'è mai stato un giocatore, un ex collega che mi abbia contattato anche solo per dirmi 'grazie'. E' difficile spiegare oggi ai giovani calciatori che cosa ha significato il mio caso. Mi auguro solo che nel ventesimo anniversario della sentenza i media possano spiegare alla gente quello che il mio caso ha significato e i suoi effetti positivi". "Per me - aggiunge Bosman che il 15 interverrà al Congresso FiFpro ad Amsterdam - è stato difficile portare tutto questo sulle spalle. Ma questo è sempre successo nel mondo del calcio perché i giocatori hanno paura di parlare, preoccupati di avere problemi con i loro club".

Ai critici e a quanti sostengono che quella sua iniziativa ha distrutto, devitalizzato i settori giovanili, con i club che proferiscono comprare all'estero piuttosto che formare le giovani leve, il 51enne Bosman risponde che "ci sono un sacco di cose che sono sbagliate nel calcio. Oggi c'è tanta speculazione finanziaria certo, ma non credo che sia colpa mia. La sentenza - chiarisce - ha fatto solo in modo che calciatori siano trattati alla stessa stregua degli altri lavoratori. Significa solo che nel 21m o secolo i calciatori hanno il diritto di circolare come gli altri lavoratori e non essere trattati come cavalli, orsi, polli o vacche". "Oggi - chiude - c'è ancora un sacco di lavoro da fare per far sì che i diritti dei giocatori siano rispettati e che tutto avvenga nel rispetto delle regole. Ci sono molti grandi Paesi e grandi campionati, e l'Italia è tra questi, dove i calciatori sono ben pagati e godono dei pieni diritti, ma non bisogna dimenticare altri Paesi dove invece le regole ancora non sono rispettate e con essi anche i diritti dei lavoratori del pallone. Io ho fatto quello che ho fatto anche per loro, non solo per quelli che poi sono diventati milionari".

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