Per anni Facebook avrebbe dato alle più grandi compagnie tecnologiche - da Apple e Microsoft a Netflix e Spotify - un accesso più intrusivo di quanto dichiarato ai dati personali degli utenti. L'ennesima accusa a Facebook sulla privacy arriva dal New York Times, che cita centinaia di pagine di documenti interni e una cinquantina di interviste ad ex impiegati del social network. Intervistato dallo stesso quotidiano, il direttore della privacy di Facebook Steve Satterfield ha affermato che nessuna partnership con le aziende ha violato la privacy degli utenti. Dichiarazioni simili sono state rese dalle società coinvolte, che hanno negato abusi.
Nel corso degli anni abbiamo stretto diverse partnership con altre aziende tecnologiche come Apple, Amazon, Netflix e Spotify, ma "nessuna di queste ha dato alle aziende l'accesso alle informazioni senza il permesso degli utenti". Lo precisa Facebook sul suo blog a seguito della pubblicazione dell'inchiesta del New York Times
Secondo il quotidiano, Facebook avrebbe consentito a Netflix, Spotify e Royal Bank of Canada di "leggere, scrivere e cancellare i messaggi privati degli utenti. Privilegi che sembrano andare oltre quanto necessario alle compagnie per integrare Facebook nei loro sistemi". La società di Mark Zuckerberg avrebbe inoltre dato a Apple l'accesso a numeri di contatto e al calendario degli utenti, ad Amazon i nomi e le informazioni di contatto, e a Bing - il motore di ricerca di Microsoft - la possibilità di vedere nomi e altre informazioni degli amici degli utenti.
"In nessun momento abbiamo avuto accesso ai messaggi privati delle persone su Facebook o richiesto la possibilità di farlo", così un portavoce di Netflix commenta l'inchiesta del New York Times. "Negli anni - aggiunge - abbiamo sperimentato diversi modi per rendere Netflix più social. Un esempio è la funzione lanciata nel 2014 che permetteva agli utenti di suggerire serie e film ai loro amici di Facebook attraverso Messenger o Netflix. La funzione però non è stata popolare e l'abbiamo eliminata nel 2015".
Apple - ha spiegato al Nyt - che non era consapevole del fatto che Facebook aveva dato un accesso speciale ai suoi dispositivi, aggiungendo che ogni dato resta sui dispositivi degli utenti e non è disponibile per nessuno all'infuori degli utenti stessi.
"Bing non ha conservato i profili basati sui dati di Facebook per scopi pubblicitari o di personalizzazione. I nostri ingegneri hanno intrapreso azioni significative che vanno oltre quanto richiesto da Facebook per evitare che questo potesse succedere. Abbiamo rescisso il nostro contratto con Facebook nel 2016 e da allora i dati hanno smesso di comparire nei risultati delle ricerche", così Microsoft, proprietaria del motore di ricerca Bing, commenta l'inchiesta del New York Times.