Ordinare una pizza o i biglietti per il cinema grazie ad un assistente virtuale, avere suggerimenti su video o canzoni vicine ai nostri gusti, un maggiordomo in casa che capisce cosa vogliamo, auto che guidano da sole. Uno scenario che sembra di fantascienza ma e' piu' vicino di quello che immaginiamo grazie all'Intelligenza artificiale (AI), una delle piu' grandi ossessioni della Silicon Valley. Nel 2015 le aziende tecnologiche hanno speso 8,5 miliardi di dollari, il quadruplo rispetto al 2010. Secondo i calcoli della rivista scientifica Nature, solo Google con il suo progetto 'Deep Mind', la start up acquisita nel 2014, arruola oltre 140 ricercatori.
Ma anche Facebook, Microsoft, Amazon e Apple stanno investendo pesantemente nel settore in particolare sul 'deep learning', perche' - spiega Nature - intravedono la possibilita' di accumulare sapere dalla vasta quantita' di dati immagazzinati. La rivista punta pero' il dito su un effetto collaterale di questo boom, il monopolio intellettuale da parte dei big dell'hitech. La richiesta di ricercatori che hanno queste competenze sta infatti svuotando le universita' col risultato che l'intelligenza artificiale potrebbe essere monopolio di grandi societa' private che, rispetto ai laboratori di ricerca pubblici, tengono le scoperte piu' segrete per fini di lucro o si concentrano solo su certi progetti, ritenuti piu' profittevoli.
Finita l'epoca d'oro degli smartphone, come dimostra il calo delle vendite di iPhone, l'intelligenza artificiale e tutte le sue applicazioni alla vita quotidiana rappresentano la gallina dalle uova d'oro per i big dell'hi-tech. "Ci muoveremo da un mondo in cui primeggia il 'mobile' ad uno in cui al primo posto c'e' l'intelligenza artificiale", ha detto chiaramente agli azionisti il Ceo di Google Sundar Pichai. Di recente sempre Google e' finita sulle prime pagine avendo contribuito ad addestrare un computer che ha sconfitto piu' volte il campione mondiale di 'Go', un gioco da tavolo. Facebook e Microsoft si sono portate avanti lavorando sulle 'chatbot', programmi che generano risposte in automatico e sono capaci di interagire con gli utenti in base alle loro richieste, come fossero segretari in carne e ossa. E Apple pochi mesi fa ha acquistato la startup Emotient, che usa l'intelligenza artificiale per leggere le emozioni analizzando le espressioni facciali.
Progetti ambiziosi che hanno bisogno di talenti. "E' un settore caldo in questo momento ci sono tante opportunita' e pochi persone esperte", ha spiegato a Nature Andrew Ng, che dalla Stanford University e' passato a Google e ora alla cinese Baidu. Senza contare che "la fuga di cervelli dal mondo accademico diminuisce le possibilita' di formazione per gli studenti", fa notare sempre a Nature Yoshua Bengio, computer scientist dell'Universita' di Montreal. Dei 144 ricercatori che Google ha in Deep Mind ben il 65% arriva dalle universita'. Dunque, la preoccupazione che le grandi aziende possano accaparrarsi gran parte dei talenti creando una sorta di monopolio intellettuale sembra essere abbastanza fondata.
Ci sono pero' delle eccezioni. Come quella di Elon Musk, patron di Tesla e Space X, che insieme ad altri investitori ha lanciato a San Francisco OpenAI. E' un laboratorio di ricerca che rendera' pubbliche tutte le sue scoperte, grazie alla condivisione dei brevetti e alla collaborazione con le istituzioni. Punta dunque a sviluppare l'intelligenza artificiale per il bene pubblico, non solo per profitto.