Il Trattato di Maastricht giunge al suo trentesimo anniversario affrontando la sfida della riforma del Patto di stabilità e crescita. Un dossier da sempre al centro di feroci scontri tra i Paesi membri e ora vitale per il futuro economico della stessa Unione, segnata dalle ferite lasciate prima dalle crisi del debito sovrano e poi, negli ultimi tre anni, da uno stato d'emergenza permanente, passato dal Covid all'aggressione della Russia contro l'Ucraina, fino al sanguinoso conflitto fra Israele e Hamas.
Firmato il 7 febbraio 1992 nella cittadina olandese di confine ed entrato in vigore allo scoccare della mezzanotte del 1° novembre 1993, nelle intenzioni dei dodici leader europei artefici dell'intesa - tra cui il presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti, il cancelliere tedesco Helmut Kohl e il presidente francese Francois Mitterand - il Trattato avrebbe dovuto rappresentare il primo passo verso un'Unione economica, monetaria e politica. Un auspicio nato nel solco dell'euforia innescata dalla caduta del muro di Berlino. Ma che ancora oggi fatica ad avverarsi, fiaccato da un'integrazione europea a più velocità, dal rifiuto spesso categorico di una progressiva cessione della sovranità nazionale, e dal ciclico soffiare dei venti dell'euroscetticismo.
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