Il Daspo urbano con divieto di
accesso a determinate aree delle città, come le stazioni e i
piazzali antistanti gli accessi agli scali ferroviari, si può
applicare nei confronti delle persone che hanno comportamenti
che fanno temere la commissione di reati, tuttavia tale misura
di prevenzione non deve, in conclusione, "intendersi rivolta ad
allontanare 'oziosi e vagabondi', come pure si era affermato
nell'ampio dibattito parlamentare sviluppatosi in sede di
conversione del d.l. n. 14 del 2017. Lo sottolinea la Consulta
nella sentenza 47 depositata oggi che ha affrontato un ricorso
sollevato dal Tribunale di Firenze che nutriva dubbi su simili
Daspo che comporterebbero, a suo avviso, "una limitazione della
libertà di circolazione del destinatario, inibendogli per un
lungo periodo di tempo l'accesso ad alcune aree cittadine, di
norma liberamente fruibili".
Il caso finito davanti al Tribunale di Firenze riguardava un
uomo che non aveva rispettato il Daspo che gli vietava l'accesso
alla stazione di Santa Maria Novella e a due vie laterali, dopo
essere stato sorpreso più volte a chiedere con insistenza soldi
alle persone che acquistavano i biglietti alle macchinette
automatiche o che facevano le scale.
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