L'Ecuador ha dichiarato lo stato di
emergenza in quasi un terzo delle sue province dopo un'ondata di
violenza nel contesto della "guerra" in corso da parte del
governo contro le bande della droga.
La misura, che consente lo spiegamento di soldati in strada, è
stata annunciata per un periodo di 60 giorni in sette delle 24
province del Paese sudamericano, secondo un decreto governativo.
Gli stati di Guayas, El Oro, Santa Elena, Manabi, Los Rios,
Sucumbios e Orellana hanno assistito a un recente aumento di
"atti di violenza sistematica perpetrati da gruppi di violenza
organizzata, organizzazioni terroristiche e individui
belligeranti non statali", si legge nel provvedimento.
Il presidente Daniel Noboa ha dichiarato lo stato di
emergenza a gennaio dopo che un pericoloso boss del
narcotraffico - Jose Adolfo Macias, alias "Fito" - è fuggito dal
carcere di massima sicurezza. Mentre i gangster facevano
esplodere autobombe, rapivano membri della polizia e uccidevano
diverse persone in risposta alla repressione promessa da Noboa,
il presidente ha detto che il Paese è in uno stato di "conflitto
armato interno" e ha ordinato all'esercito di "neutralizzare" 22
gruppi criminali. Lo stato di emergenza è scaduto il mese
scorso. Human Rights Watch ha esortato Noboa a cancellare lo
stato di "conflitto armato interno" ancora in atto, affermando
che ciò ha aperto la porta a violazioni dei diritti umani.
Per lungo tempo un rifugio pacifico stretto tra i principali
paesi esportatori di cocaina - Colombia e Perù -, l'Ecuador ha
visto esplodere la violenza negli ultimi anni mentre bande
rivali legate ai cartelli messicani e colombiani si contendono
il controllo. Le guerre tra gang si sono svolte in gran parte
nelle carceri del Paese, dove leader criminali come Fito
esercitano un controllo immenso. Dal 2021 le battaglie hanno
provocato la morte di centinaia di detenuti, i cui corpi sono
stati spesso ritrovati smembrati, decapitati o inceneriti.
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