L'ultimo allarme è di meno di un mese fa: un fascicolo gonfio di rapporti dei servizi di sicurezza e di misure antiterrorismo, da adottare in Europa per arginare il fenomeno dei foreign fighters, viene depositato sul tavolo dei ministri degli esteri Ue all'indomani della strage di Parigi a Charlie Hebdo. Qualche settimana dopo un'altra capitale europea finisce sotto il fuoco di quello che sembra un attacco coordinato contro l'occidente e contro un simbolo dell'ebraismo, una delle sinagoghe di Copenaghen. Il profilo del conflitto con l'estremismo islamico ai tempi del califfato dell'Isis, ha assunto una valenza diversa: da appoggio politico a scesa in campo vera e propria, e mai come da un anno a questa parte, i servizi segreti occidentali hanno dato conto della presenza di tanti foreign fighters, combattenti stranieri che si uniscono alle file dell'Isis, nuova figura di militante globale. La Scandinavia in questo quadro gioca da tempo la parte del leone, un po' perché terra di elezione dei flussi migratori, grazie alla tradizione di accoglienza e ad uno stato sociale funzionante, un po' perché rimasta sempre periferica rispetto alle rotte del terrorismo organizzato, preda eventualmente dell'atto sconsiderato di un singolo (Anders Breivik in Norvegia, ancorchè non islamico, vale da esempio). Inoltre in Svezia, Danimarca e Norvegia le seconde generazioni stanno scalpitando da mesi - da quando l'Isis ha deciso di voler conquistare Siria e Iraq e poi il mondo - per unirsi alle truppe delle bandiere nere che ormai reclutano ragazzi e ragazze ovunque. Quando ad esempio nell'ottobre del 2013 due ragazze di origine somala fuggirono dalla Norvegia per ''andare a combattere in Siria'' (salvo poi pentirsene) il fenomeno era appena agli inizi. Eppure stiamo parlando di paesi nei quali si continuano a costruire moschee e si cerca di dare voce a tutte le minoranze religiose, in particolare all'Islam, i cui fedeli sono la maggioranza degli immigrati in tutti e tre i paesi. Anche se, è il caso della Moschea di Aahrus in Danimarca, proprio da questi luoghi di culto musulmani giungono improvvisi e convinti sostegni all'Isis.
Ma si tratta anche di nazioni dove le destre xenofobe hanno in questi anni fatto passi da gigante, un po' sull'onda dell'antieuropeismo, un po' su quella dell'anti immigrazione: un esempio su tutti è al governo in Norvegia dove la destra tradizionale si è dovuta alleare con i populisti nazionalisti xenofobi. Ecco allora l'affacciarsi di una frattura che sembra approfondirsi settimana dopo settimana, ed ecco combattenti pronti a morire, che partono dalle terre del nord per la Siria, l'Iraq, forse lo Yemen o la Libia. Contemporaneamente Svezia e Norvegia partecipano con aiuti umanitari alla coalizione internazionale contro l'Isis, mentre la Danimarca ha messo in campo degli F16. Il rapporto dell'Ue sui foreign fighters parla ad esempio della Danimarca, prima per 'contribuzione combattente' se si mette in rapporto il numero di chi ha lasciato il paese (un centinaio) al numero degli abitanti e degli immigrati. Dalla Norvegia quasi 200 si sono uniti all'Isis e di questi, affermano i servizi a Oslo, molti sono minori. Fonti di intelligence americane parlano poi di norvegesi che hanno acquisito posizioni di preminenza in seno al califfato. In Svezia è più rilevante il fenomeno delle cellule dormienti: la Sapo (l'intelligence svedese) segnala reclutatori in loco che hanno creato una rete di estremisti pronti ad entrare in azione. Del resto subito dopo l'attacco di Copenaghen le autorità di Stoccolma sono state messe in allarme per un possibile passaggio di terroristi attraverso il ponte che separa Svezia e Danimarca. Senza contare le notizie che continuamente provengono dal teatro delle battaglie e che danno conto di morti provenienti dai paesi scandinavi e, di contro, quelle che mettono in rilievo i sempre più stretti collegamenti tra gruppi neonazisti dei vari paesi del Nord. L'abilità dei governi scandinavi consisterà dunque nel prossimo futuro nella attenta navigazione tra gli iceberg di entrambi gli estremismi evitando che collidano, ma anche che schiaccino paesi considerati terreni di confronto e democrazia.
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