Gli effetti dannosi di un'esposizione
prematura all'eccesso di ossigeno (iperossia) nei neonati
pretermine - con tutte le patologie conseguenti - possono essere
neutralizzati con una stimolazione farmacologica del recettore
β3-adrenergico visto il suo ruolo indispensabile durante la vita
intrauterina, dove permette al feto di vascolarizzarsi,
adattarsi e sopravvivere in ambiente fortemente scarso di
ossigeno (ipossia). E' quanto emerge da studi preclinici su
modelli sperimentali svolti da un gruppo multidisciplinare di
ricerca di Aoup e Unipi insieme a Università di Firenze e Irccs
Meyer, pubblicato sulla rivista di farmacologia Medicinal
Research Review.
Nel lavoro viene illustrata, si spiega dall'Ateneo pisano,
"non solo una nuova interpretazione dei meccanismi che portano i
neonati pretermine a sviluppare alcune caratteristiche malattie,
ma anche una specifica strategia terapeutica che potrebbe
indurre in loro un virtuale riavvicinamento all'utero materno e,
dunque, ricreare le condizioni favorevoli a uno sviluppo
fisiologico anche dopo un parto prematuro". Il benessere fetale,
si spiega, "è strettamente legato all'ambiente dinamicamente
ipossico. La nascita prematura comporta l'esposizione precoce
del feto immaturo a un ambiente più ricco di ossigeno rispetto
all'utero. Di conseguenza, i neonati prematuri affrontano una
condizione di relativa iperossia, che altera lo sviluppo
postnatale degli organi e contribuisce alle malattie legate alla
prematurità. Fino a qualche tempo fa era poco chiaro il
meccanismo molecolare attraverso cui l'elevata tensione di
ossigeno alterasse la normale differenziazione fetale". Il nuovo
studio, si afferma, "oltre a dimostrare su modelli animali che
l'esposizione precoce a un ambiente relativamente iperossico
possa compromettere i nati pretermine a causa della ridotta
espressione del β3-adrenorecettore, suggerisce l'ipotesi che i
disturbi conseguenti alla nascita prematura possano essere
contrastati o persino prevenuti proprio attraverso la
stimolazione farmacologica dei rimanenti β3-adrenorecettori,
creando una sorta di placenta artificiale farmacologica".
"Data la rilevanza delle patologie interessate, la fragilità dei
pazienti coinvolti e l'innovatività di questo approccio -
dichiara il direttore dell'unità operativa di neonatologia
dell'Aoup, Luca Filippi, associato di Pediatria generale e
specialistica all'Università di Pisa nonché prima firma dello
studio - l'auspicio è che quanto finora emerso su modelli
sperimentali possa presto traslarsi con successo all'uomo".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA