Prenderà il via nelle prossime
settimane lo studio sulla qualità delle acque provenienti dai
"rock glaciers", ampie coltri detritiche contenenti ghiaccio in
ambiente alpino, effettuato in collaborazione dai ricercatori
della Libera università di Bolzano, della Fondazione Edmund Mach
(Fem) di San Michele all'Adige e dell'Accademia austriaca delle
scienze. Ad oggi sono poco noti i loro effetti sui sistemi
idrologici ed ecologici. La ricerca - si apprende - avrà durata
triennale e prevede l'elaborazione di modelli di previsione sul
contributo del giacchio presente nei detriti rocciosi
all'inquinamento delle acque alpine derivante dal cambiamento
climatico.
I cosiddetti "rock glaciers" sulle Alpi rappresentano la
forma più comune di permafrost. Questo ghiaccio nascosto, al
pari di quello visibile dei ghiacciai, influisce sulla quantità
e qualità delle acque di sorgenti, ruscelli e torrenti. Il
progetto in partenza, denominato "Rock-Me", mette in comune le
competenze dei ricercatori Francesco Comiti, Lorenzo Brusetti e
Stefano Brighenti (Università di Bolzano), Monica Tolotti e
Maria Cristina Bruno (Fem) e Andrea Fischer (Accademia austriaca
delle scienze) per determinare la composizione chimica e la
dinamica ecologica nelle acque derivanti dalla degradazione del
permafrost alpino di alta quota, che in Alto Adige è abbondante
sopra i 2.400 metri di altitudine.
Nelle sorgenti alimentate dai "rock glaciers" si trovano
disciolte numerose sostanze chimiche, tra cui alcuni metalli
pesanti che spesso vengono rinvenuti a concentrazioni elevate di
cui non si conosce ancora l'origine. "Spesso vi si rinvengono,
in quantità variabili, metalli pesanti come nickel, zinco,
addirittura uranio a seconda del tipo di roccia, anche di sei
volte superiori ai limiti dell'acqua potabile", spiega Comiti.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA