Nonostante gli sforzi fatti per
arrivare ad una parificazione delle strutture di conservazione e
lavorazione dei prodotti ortofrutticoli alle cosiddette "imprese
energivore", le decisioni del Governo paiono non essere state
favorevoli. Viene a reiterarsi quindi una "ingiustificabile
discriminazione, che legata ad una banale codifica Ateco esclude
le imprese del settore agricolo che conservano, selezionano e
commercializzano frutta dalla definizione - e quindi dai
vantaggi - di molte altre imprese che possono beneficiare del
livello massimo di detrazione di imposta. Una banale definizione
penalizza strutture che di fatto con il loro lavoro rendono un
servizio fondamentale per i cittadini". Lo comunica Assomela,
Consorzio delle organizzazioni di produttori di mele italiani
che rappresenta l'80% della produzione melicola nazionale.
Se le prime indicazioni sulle dinamiche di mercato e sulla
sua possibile evoluzione suggeriscono un primo semestre del 2023
di più facile gestione, in particolare per una disponibilità di
prodotto in Italia non particolarmente alta ma di ottima
qualità, il peso dei costi di produzione inizia drammaticamente
a farsi sentire. Il peso dei costi di produzione per la
conservazione e lavorazione delle mele è stimato all'attualità
in circa 0,12 euro/kg, ai quali vanno aggiunti circa 0,04
euro/kg di costi assorbiti al livello delle aziende di
produzione primaria. Questi maggiori costi possono arrivare ad
erodere un terzo circa della liquidazione finale ai
frutticoltori, che mediamente può aggirarsi attorno a 0,40 -
0,45euro/kg. Una mole di costi che rischia di minare
l'equilibrio economico di migliaia di aziende frutticole,
avverte Assomela.
L'invito ai produttori è "restare compatti nella richiesta
all'Unione Europea di ritirare la proposta di regolamento
sull'impiego di fitosanitari e di rivedere sostanzialmente la
proposta di uso del packaging e della riduzione degli imballi di
plastica".
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