Era illegale, per la Procura di
Perugia, l'attività svolta per conto di altri di abbattimento
del principio attivo contenuto nella cannabis light lavorata
nell'edificio di Gubbio nel quale il 7 maggio dell'anno scorso
avvenne un incendio che provocò la morte di due dipendenti.
Emerge dall'avviso di conclusione delle indagini nei confronti
dei cinque gestori dell'attività nel quale si ipotizza anche la
violazione della legge sugli stupefacenti.
Parallelamente agli accertamenti sull'incendio, la guardia di
finanza, nell'ambito di un altro procedimento - entrambi
coordinati dal sostituto procuratore Gemma Miliani -, aveva
infatti proceduto al sequestro di un pacco segnalato da un'unità
cinofila come stupefacente presso un centro di spedizioni della
provincia. Risultato inviato dalla società titolare
dell'attività e destinato ad una tabaccheria nel Lazio. Partendo
da questo episodio venivano quindi delegate attività per
individuare fornitrici ed acquirenti della ditta titolare
dell'opificio, con numerose perquisizioni e sequestri di
cannabis nei confronti di fornitori e clienti che consentivano
di approfondire i rapporti commerciali e i servizi sottesi alle
fatture analizzate.
La Procura perugina ritiene che l'abbattimento del principio
attivo della cannabis light sia un'attività illegale in quanto
non prevista tra quelle indicate nella legge che disciplina la
materia, anche perché legata alla ricezione e quindi allo
smistamento ad altri della stessa cannabis abbattuta.
Al momento dell'incendio l'opificio di Gubbio aveva tra
l'altro ricevuto circa 300 chili della sostanza da trattare.
Oltre alla coltivazione della canapa - è emerso dalle indagini -
veniva quindi fatta un'attività per conto terzi.
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