"Non c'era una guerra tra me e
Laudati, tra me e lui c'era stima profonda e amicizia. Cercavo
di mettere i paletti. Certo la mia cautela era quella di
riportare tutte le funzioni che avvenivano nella Dna nell'ambito
delle regole prefissate. Scoprii che Striano aveva una doppia
presenza in Dna e uffici della Gdf, che era un modulo
organizzativo adottato e scelto da Laudati e non so onestamente
se condiviso con il procuratore nazionale. Inoltre Striano era
refrattario anche al controllo delle sue presenze in Dna e io
feci un provvedimento generale che imponeva a tutte le persone
che venivano in visita di depositare la firma agli organi di
controllo di sicurezza all'ingresso". Così il capo del
Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo,
ascoltato in commissione antimafia nell'ambito dell'inchiesta di
Perugia sui presunti dossieraggi. All'epoca dei fatti Russo era
coordinatore del Servizio di contrasto patrimoniale, nel cui
ambito c'era l'ufficio Segnalazioni di operazioni sospette.
"Sono tuttora convinto della grandissima qualità
professionale di Laudati. Avevo segnalato nel corso delle
riunioni la mia opzione organizzativa: qualunque unità di lavoro
all'interno della Dna deve prendere indicazioni scritte
maniacalmente da parte di un magistrato. Lo avevo segnalato in
diverse riunioni e non ero in guerra con Laudati", ha aggiunto
Russo.
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