"L'essere illesa l'ha facilitata, perché se avesse avuto un trauma e perso conoscenza l'ipotermia si sarebbe manifestata in modo più evidente", invece "in qualche modo muovendosi, mantenendo una certa attività muscolare, probabilmente è riuscita a tenere la temperatura corporea a valori non troppo bassi". Lo spiega all'ANSA il dottor Guido Giardini, responsabile dell'ambulatorio di Medicina di montagna dell'ospedale di Aosta e già presidente della Società Italiana di Medicina di montagna, in merito al salvataggio di una turista russa trovata viva dopo due giorni trascorsi in un crepaccio sul versante svizzero del massiccio del Monte Rosa.
All'interno della fessura del ghiacciaio la donna "era al riparo dal vento" e "l'essersi fermata su un ponte di neve" ha fatto sì che non fosse "a contatto diretto con il ghiaccio, che l'avrebbe raffreddata. Magari è riuscita anche a mangiare qualcosa o a bere, anche solo la neve che si scioglieva, e quindi in qualche modo se l'è cavata". "Certo - aggiunge Giardini - che se fosse rimasta lì più di 48 ore avrebbe iniziato a perdere temperatura".
Uno stato di ipotermia come il suo (34 gradi), "compreso tra 34,9 gradi e 32 gradi", è considerato "lieve, perché è risolvibile con il brivido, assumendo bevande calde e coprendosi". Con temperature inferiori occorre invece il trattamento "in ospedale e sotto i 30 gradi sopraggiungono le prime complicanze cardiache e neurologiche".
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