"Quando un coniuge perde l'altro, è
un vedovo o una vedova. Un figlio che perde un genitore è un
orfano o un'orfana. Esiste una parola per dirlo. Ma per un
genitore che perde un figlio una parola non c'è. È un dolore
così grande che non esiste nemmeno una parola". Sono le parole
di Papa Francesco nel videomessaggio per la preghiera di questo
mese di novembre.
E in effetti di fronte al dolore per la perdita di un figlio
non è facile trovare le parole. Ci ha invece provato Salvatore
Tomai, regista televisivo che collabora con il programma Rai 'A
sua immagine', che nel libro "Un sorriso nel cielo" ripercorre
la storia della sua bambina, Caterina, scomparsa venti anni fa
per un osteosarcoma quando aveva solo nove anni. Tomai ha
recuperato i ricordi e i pensieri di quei giorni, "il Calvario"
della figlia e di tutta la famiglia, per dare una testimonianza
di fede. E lo fa ispirato dalle parole di Papa Francesco che lui
stesso cita nella presentazione del libro: "Nel grande disegno
di Dio, ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia
piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive
con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di
famiglia, di lavoro, di amicizia. Ci sono i santi di tutti i
giorni, i santi nascosti". Salvatore Tomai allora rivela:
"Quando sentii queste parole di Papa Francesco pensai subito a
mia figlia Caterina".
Da lì è partito il racconto, fatto di sofferenza ma anche di
testimonianza: "Io e mia moglie Emilia l'abbiamo vista spegnersi
come una candela, lentamente. E come una candela ha sprigionato
luce attorno a sé". La storia di Caterina e della sua famiglia è
anche la storia di una intera comunità parrocchiale, quella di
San Filippo Neri a Roma, che si è stretta alla famiglia
sostenendola in un cammino difficilissimo. A partire dal
viceparroco di allora, don Luca, più volte citato nel libro, che
"ha seguito da vicino tutta la vicenda" e "l'ha sempre sostenuta
in ogni modo". Salvatore Tomai snocciola i ricordi ma ha nella
mente quel volto della figlia "sempre sorridente", "non un
sorriso di circostanza" ma "un sorriso che manifestava una
serenità".
Una bambina come tante, che amava correre e leggere Harry
Potter. Ma che ha anche saputo affrontare questo male più grande
di lei non lasciandosi travolgere. "Caro diario - scriveva il 10
gennaio 2004, pochi mesi prima di morire, dando un senso alle
sofferenze - se non mi fossi ammalata non avrei conosciuto
Jessica, la mia amica del cuore".
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