Un elefante a grandezza naturale,
in poliestere ossido di cromo verde scuro, posto su un
piedistallo bianco accoglie il visitatore nella sala Chini,
all'ingresso del Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale
di Venezia, per la 59/A Esposizione Internazionale d'arte che
prende il titolo da un libro di favole, "il latte dei sogni",
dell'artista surrealista Leonora Carrington. E' l'opera di
Katharina Fritsch, Leone d'oro alla carriera assieme a Cecilia
Vicuna, destinata probabilmente ad essere eletta - per l'ironica
messa in discussione delle gerarchie delle statue che dominano
gli spazi pubblici - tra gli emblemi della mostra. Una Biennale,
curata da Cecilia Alemani, che parla di corpi, di metamorfosi,
di rapporto con la natura, di un possibile futuro post-umano. Il
tutto con una chiave che pare aprire la strada all'ottimismo,
alla volontà di guardarsi dentro, alla voglia di interrogarsi,
ora oniricamente, ora con i toni della tragedia. Alemani, dopo
un lavoro di circa tre anni, con due anni condizionati dalle
limitazioni della pandemia, è riuscita a tessere una mostra,
con i lavori di 213 artiste ed artisti provenienti da 58
nazioni, carica di colori, di lavori dove i mostri, le creature
dell'inconscio, gli esseri nati dall'incontro con le macchine
non fanno paura. Ci sono tanti quadri, oggetti, sculture,
fotografie e pochissimi vide nel percorso molto ordinato che si
dipana tra il Padiglione Centrale e l'Arsenale. Da domani, la
Biennale arte entra nel vivo con i tre giorni di pre-apertura
prima dell'inaugurazione di sabato. Clima delle grandi
occasioni. Pesa naturalmente l'eco della guerra in Ucraina, il
cui padiglione è già uno dei più frequentati. L'artista Pavlo
Makov ha sottolineato che non è "importante essere qui come
artista. Questo è il padiglione dell'Ucraina e dobbiamo fare il
meglio per rappresentare la cultura, la dignità e la storia
dell'Ucraina".
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