Un regista sensibile Giorgio
Diritti a Venezia 80 porta in concorso Lubo, liberamente
ispirato al romanzo Il seminatore di Mario Cavatore (Einaudi),
la storia di un nomade, uno Jenisch nella Svizzera degli anni
'30.
"È un povero cristo nel senso buono del termine, che fa
l'artista di strada e che nella vita si trova a subire una cosa
più grande di lui, una grande ingiustizia: vedere che i propri
figli, mentre lui deve fare il militare nell'esercito elvetico
che si prepara a difendere i confini dal rischio di un'invasione
tedesca, vengano portati via solo perchè è un nomade, non ha una
residenza stanziale. Il suo modo di vivere diverso - dice
all'ANSA Diritti - diventa una discriminante che poi scatena
quello che diventerà una catena del male di cui parte è ma che
vorrebbe e potrebbe ribaltare credendo nella possibilità di
rifarsi una vita, nell'amore, nella giustizia".
Questa storia accade in Svizzera, negli anni '30 dove fino
agli anni '70 per iniziativa del programma di rieducazione
nazionale per i bambini di strada di fatto deportava sradicava i
figli dei nomadi affidandoli ad altre famiglie o al collegio,
"purchè non vivessero per strada strappandoli alle famiglie,
cosa che è una violenza unica. Un vizio dell'umanità diffuso",
spiega. Il tema dell'ingiustizia è in Lubo (in sala dal 9
novembre con 01) e in molti altri film di Venezia 80. "C'è la
sensazione che la società si impantani sempre sulle stesse cose
e che queste stesse cose rischiano di portare di nuovo a
conflitti, a guerre ecc. la scommessa triste oggi, e che mi
sembra abbastanza persa, è che negli anni '70 ci faceva sperare
in un mondo migliore. Oggi c'è la sensazione che semmai c'è una
rassegnazione quasi che la negatività, il male, l'indifferenza
verso l'altro siano da accettare. Penso - spiega - anche alla
guerra in Ucraina dopo il periodo di grande empatia e commozione
per le immagini strazianti che ci arrivavano, adesso quasi c'è
un'abitudine. Ed è secondo me il momento più drammatico:
abituarsi alla guerra, vuol dire accettare anche la
discriminazione nei confronti di qualcuno che un giorno possiamo
essere noi".
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