(di Roberto Nardi)
In una foto del 1949,
commissionata dalla rivista Life, il fotografo Philippe Halsman
ritrae Jean Cocteau (1889-1963) come "una sorta di Shiva, un
giocoliere a sei braccia che si destreggia tra vari strumenti:
non solo maneggia penna, pennello, forbici, ma tiene in mano un
libro aperto e fuma una sigaretta". E' un'immagine, ricordata da
Kenneth E. Silver, uno dei massimi esperti di Cocteau, che aiuta
a comprendere la molteplicità e complessità delle forme
espressive di una personalità che fu nel contempo artista,
scrittore, cineasta, drammaturgo, critico, poeta, disegnatore.
All'autore del romanzo "les enfants terribles" (1929),
considerato egli stesso il "ragazzo terribile" della scena
culturale e artistica francese del Novecento, è dedicata una
mostra, "Jean Cocteau. La rivincita del giocoliere", alla
Collezione Peggy Guggenheim, a Venezia, a cura di Silver, fino
al 16 settembre prossimi (catalogo Marsilio Arte).
L'esposizione, la prima retrospettiva in Italia, attraverso 150
opere - disegni, foto, libri, gioielli, arazzi, film,
documentari, riviste - e varie sezioni, offre uno spaccato della
sua ricerca nei campi dell'arte, della sua estetica, e della sua
vita. "La sofferenza per l'arte, la tossicodipendenza,
l'oscenità, lo scandalo - scrive il curatore - tutti questi
elementi della vita proverbiale del bohémien parigino sono
aspetti del mito (e della vita reale) di Jean Cocteau, artista
eccezionale ed eccessivo".
"E' lui l'opera d'arte - sottolinea Karole P.B. Vail, direttrice
della Peggy Guggenheim -. Era un fantastico giocoliere. Un uomo
polivalente che alla sua sua epoca non era del tutto ben
compreso perché faceva un po' di tutto ma tutto molto bene". Un
artista che andava aldilà delle aspettative, scompaginava le
carte delle attese, scardinava dall'interno le convenzioni del
mondo in cui si muoveva con il suo funambolismo espressivo e la
sua omosessualità mai pienamente dichiarata e la dipendenza
dall'oppio. Peggy Guggenheim scrisse nel suo libro di memorie,
riguardo alla mostra d'apertura della galleria londinese nel
1938, che "organizzare la mostra di Cocteau fu piuttosto
difficile", perché bisognava andare nell'albergo parigino dove
l'artista alloggiava e cercare di parlare di affari mentre lui
"era a letto che fumava l'oppio". Di quella esperienza,
nell'esposizione a Venezia, è assoluta testimonianza un grande
disegno su lenzuolo, La paura dona le ali al coraggio. Opera che
fu bloccata dalla dogana inglese e poi "liberata" grazie alla
promessa di Peggy di non esporla ma di tenerla in ufficio. A
doganieri non pareva opportuno mostrare al pubblico delle figure
umane con i peli del pube non coperti. Al legame, anche
d'amicizia, tra Cocteau e la gallerista-mecenate, all'insegna
della continue visite in laguna, è dedicata una sezione, ma la
mostra, quasi a seguire la polifonia artistica e senza censure
del "ragazzo terribile" illustra compiutamente altri aspetti.
Fondamentali sono le esperienze teatrali e i film - dalla
continua presenza del tema di Orfeo - la presenza nelle opere
che ritraggono amici, amanti, tra sensualità e ironia, il design
nel campo dell'oreficeria (la spada d'Accademico di Francia
fatta su disegno da Cartier), i libri scritti, illustrati. Non
ultimo, proprio in ragione di un'arte che si muove su più piani
espressivi, con più strumenti contemporaneamente, ci sono dei
forti richiami al rapporto del suo agire con l'arte
contemporanea.
Tra tutti, proprio nelle prime sale, significativo è l'intimo
dialogo tra uno spezzone di "Orfeo", film del 1950 c0n Jean
Marais, compagno per molti anni dell'artista, e un'opera di
Felix Gonzalez-Torres, Senza titolo (Orfeo, due volte), del
1991. A unirle le simbologie dello specchio nel rapporto tra le
vita e l'aldilà. "Credo che Cocteau - chiosa Karole P.B. Vail -
sia un esempio oggi per i giovani, per gli artisti, per capire
che si possono lavorare in tanti modi diversi e non c'è un unico
modo per essere un artista".
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