Dopo il primo autobus organizzato
di profughi ucraini giunto questa mattina presto, nel corso
della giornata ne sono arrivati altri, sporadicamente, alla
porta Est dell'Italia, il valico di Fernetti (Trieste), al
confine con la Slovenia. Meno di dieci autobus nell'arco della
giornata interamente occupati di ucraini, ma vari altri, ad
esempio con targa rumena, avevano a bordo singoli cittadini
ucraini, piccoli nuclei familiari, donne con i bambini
prevalentemente.
A Fernetti sono stati tutti controllati dalle forze
dell'ordine e, dopo una breve sosta per rifocillarsi, sono
ripartiti, diretti, di volta in volta in varie città del Nord
Italia, ma anche a Roma e a Napoli, dove si trova una numerosa
comunità ucraina, forse quella più cospicua in Italia.
I racconti sono quelli disperati comuni a tutti i cittadini
ucraini: gli uomini sono rimasti a combattere, le donne stanno
portando in salvo i bambini ricongiungendosi con parenti che da
tempo lavorano in Italia o semplicemente raggiungendo amici,
conoscenti, per mettersi in salvo, prima di tutto.
Un gruppo di donne poco prima di partire ha intonato un canto
nazionale, tra lacrime e commozione.
"Troppo pericoloso restare in Ucraina - dice una donna
parlando in un italiano zoppicante, scesa da un bus partito da
Mykolaiv, che ha fatto sosta a Odessa e che è diretto a Napoli -
la gente va dovunque, Slovacchia, Polonia, noi siamo venuti in
Italia, dopo 12 ore in frontiera. Quando si aggiusta tutto,
torniamo, possiamo stare fuori 90 giorni, poi vedremo".
Un uomo, uno dei pochi uomini presenti, dice che con i primi
bombardamenti è "subito scappato in Romania insieme con la
moglie e i bambini. Non abbiamo nemmeno chiuso casa - specifica,
in italiano - siamo fuggiti via, adesso andiamo a Genova, dove
c'è mia madre".
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