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Raoul Bova, 'la sfida più difficile, essere me stesso'

Raoul Bova, 'la sfida più difficile, essere me stesso'

A Marateale, dal nuoto-ossessione a Emily in Paris e Don Matteo

MARATEA, 26 luglio 2024, 16:37

di Alessandra Magliaro

ANSACheck
- RIPRODUZIONE RISERVATA

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 Le aspettative che "diventano un carico di 100 kg sulle spalle", l'abbandono del nuoto dopo una gara persa e la sensazione che "lo sport anziché gioia era diventato una gabbia", il primo provino della vita, quello per la fiction sui fratelli Abbagnale, e il crollo psicologico che convinse il regista Stefano Reali a prendere quel giovane attore bello e sconosciuto. E poi ancora il sogno americano e la popolarità in Italia ormai da anni. Raoul Bova si racconta a Marateale con la sincerità e quella umiltà che sono un po' la sua forza. E ora arrivano Emily in Paris 4 e l'atteso Don Matteo 14.
    "Ho fatto la prova costumi a Parigi in un contesto produttivo gigante e però curatissimo. Poi le riprese a Roma. La prima scena? A letto con Philippine Leroy-Beaulieu, la boss Sylvie dell'agenzia, così tanto per rompere il ghiaccio", racconta all'ANSA Bova. "Ero terrorizzato, lei è stata divertente, abbiamo scherzato e tutto è andato bene da quel momento in poi.
    Certo un po' di stereotipo c'è: io interpreto Giancarlo, un regista pubblicitario italiano con cui Sylvie si rilassa, si sente libera, sorridente, sono il suo detox, ma Emily in Paris è una serie leggera e divertente e non si può chiedere altro se è un successo globale", aggiunge della saga con Lily Collins attesa su Netflix dal 15 agosto in cui è una new entry (con Anna Galiena ed Eugenio Franceschini). Dalla serie global a quella iper nazional popolare di Don Matteo, la cui 14/a stagione arriva su Rai1 dal 17 ottobre ed è la prima in cui Bova è titolare a tutti gli effetti (è entrato nella quinta puntata della 13/a): c'è un Don Massimo al posto del prete in bici storicamente interpretato da Terence Hill.
    "Non vorrei dire, ma questa serie è venuta molto bene, con temi interessanti come è caratteristica di questa fiction così tanto amata, capace, forse è il segreto di una ventennale longevità, di essere un orologio sempre al passo con il tempo. In questa stagione - prosegue Bova - c'è il nuovo capitano Eugenio Mastandrea ed entra in gioco Federica Sabatini che interpreta mia sorella. Si comincia a sapere qualcosa di più del personale vissuto di don Massimo, c'è un tema familiare e un tema più grande che riguarda il perdono e la capacità di sapersi mettere in discussione e comprendere il prossimo. Sono entrato nella 13/a stagione un po' in sordina rispetto ad una macchina da guerra come don Matteo e ora comincio a sentirmi vicino il personaggio. Cosa mi piace più di tutto? Il suo essere intergenerazionale".
    L'occasione della masterclass nel festival diretto da Nicola Timpone è anche quella di guardare il passato, testimoniando ai tantissimi giovani che lo ascoltano una grande tenacia. "Il destino che avevo progettato, quello di campione, di nuovo si è infranto sotto il peso di tutte quelle aspettative mie, di mio padre, del mio allenatore. Avevo bisogno di supporto più morale che fisico, la voglia di gareggiare era un'ossessione, soffrivo il giudizio, quell'ansia incredibile, ci sono voluti anni per riappropriarmi dello sport come gioia. Era una gabbia dalla quale scappare ma avevo paura di deludere soprattutto mio padre.
    Dopo aver perso la gara della vita ho abbandonato, mi ha salvato il cinema. Andai ad un provino e anziché farlo crollai psicologicamente davanti al regista, raccontando tutto il mio dolore, fu una liberazione e ancora oggi ringrazio Reali per avermi ascoltato, lo colpii talmente sul piano umano che mi diede il ruolo di protagonista, sarei stato un ragazzo perso per strada come capita a tanti. Ma lì - ha raccontato Bova - è cominciata anche la mia determinazione: da quel giorno mi sono sentito fortunato, un prescelto senza merito e quindi decisi di recuperare studiando come un matto recitazione per anni, ed è così che piano piano nel tempo, tra successi e delusioni come succede a tutti ho cominciato a far pace con me stesso, scoprire questo mondo senza l'ansia di vincere che mi portavo dietro dallo sport. Come? Quando ho capito che per essere me stesso dovevo essere meno severo con me stesso, ascoltarmi, accettarmi senza fare quello che gli altri si aspettavano da me".
    E ha fatto i conti con la sua bellezza, "se ancora mi si fa questa domanda che era un classico 15 anni fa, ringrazio commosso", scherza. Anche con l'esperienza americana si è riappacificato: "Avevo investito tantissimo, casa, agenzia Caa, scuole, coach, lezioni cinque ore al giorno, provini. La grande occasione mi capitò per Tomb Raider, Angelina Jolie faceva il tifo per me, avevo la parte in tasca ma feci un provino da schifo, dimenticando tutte le battute. Gerard Butler fu preso al mio posto. Restano i racconti di quel periodo per divertire gli amici".
    Lezioni per il futuro: "Fare questo lavoro bene, con responsabilità ma senza paura. Con le aspettative ho chiuso: diventano un carico di 100 kg sulle spalle e poi viene il mal di schiena".
   

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