Oncologia 2.0: la profilazione genomica guida la nuova era della lotta contro i tumori, dal modello istologico al modello mutazionale L’oncologia entra in una nuova fase: dallo studio tissutale del tumore alla profilazione genomica. Al modello istologico si affianca il “modello mutazionale”, che cambia la governance dei nuovi farmaci oncologici. I nuovi test Next Generation Sequencing (NGS) analizzano fino a 300 mutazioni geniche in una singola analisi. L’alta complessità di gestione del modello mutazionale prevede Molecular Tumor Board (MTB) altamente integrati. Le mutazioni genetiche nei tumori cambiano l’approccio terapeutico. Il carcinoma del polmone e il carcinoma midollare della tiroide paradigma di strategiche opportunità di cura. “Medicina di precisione e terapie personalizzate, l’evoluzione dei percorsi in Oncologia nel racconto dei Media: parole, opportunità, responsabilità”, al centro del Corso di Formazione professionale Continua promosso dal Master SGP ‘La Scienza nella Pratica Giornalistica’ della Sapienza Università di Roma, con il contributo non condizionante di Lilly. Roma, 12 ottobre 2020 – La lotta contro il cancro entra in una nuova fase, avanzata e strategica: l’oncologia si evolve e diventa “2.0”, spostando il focus dallo studio tissutale del tumore alla sua profilazione genomica. Fino ad oggi la partita oncologica e della ricerca si è giocata infatti esclusivamente sul modello istologico, che prevede sede del tumore, presenza o meno di marcatori/mutazioni genetiche, sviluppo di target therapy. Tuttavia, la progressiva disponibilità di test di profilazione genomica, i Next Generation Sequencing (NGS), che possono analizzare fino a 300 mutazioni genetiche in una sola analisi, ha aperto di fatto la strada al “modello mutazionale” che affianca ed integra il modello istologico. Cosa cambia nella pratica e nella governance clinica e assistenziale, nella ricerca e nelle procedure regolatorie? Come affrontano i Media questo nuovo paradigma dell’Oncologia e dell’Ematologia? Di tutto questo discutono oncologi, esperti istituzionali, rappresentanti delle associazioni pazienti e giornalisti in occasione del Corso di Formazione Professionale Continua “Medicina di precisione e terapie personalizzate, l’evoluzione dei percorsi in Oncologia nel racconto dei Media: parole, opportunità, responsabilità”, promosso dal Master SGP ‘La Scienza nella Pratica Giornalistica’ della Sapienza Università di Roma, con il contributo non condizionante di Lilly. Era il 12 ottobre 2017 quando nella sezione Perspective del New England Journal of Medicine usciva l’articolo “First FDA approval Agnostic of Cancer Site – When a Biomarker Definies The Indication”, che di fatto inaugurava la fase mutazionale in Oncologia. «Per la prima volta veniva comunicata l’approvazione di farmaci attivi su una mutazione indipendentemente dalla sede del tumore, dal sesso e dall’età – dichiara Nello Martini, Presidente Fondazione Ricerca e Salute (ReS) – Non sono più tanto la localizzazione del tumore e la sua istologia, ma le mutazioni genomiche individuate a determinare il processo decisionale e quindi la scelta della terapia. Ciò comporta un cambiamento radicale nel paradigma dell’Oncologia, che dà il segnale dell’avvento di un nuovo modello che non si contrappone a né azzera il precedente modello terapeutico, ma che si integra con esso». Emerge, dunque, un modello mutazionale che si fonda sulla mutazione genetica, differenziandosi dal modello istologico che fino ad ora ha governato la ricerca clinica, le decisioni regolatorie e la pratica oncologica. Paradigmatica la storia del carcinoma polmonare: studi che investigavano gli inibitori tirosin-chinasi (TKI) anti-EGFR, in particolare per quanto riguarda i dati sui pazienti con mutazione EGFR, rilevabile nel 10-15% dei pazienti caucasici, hanno dimostrato all’unisono una netta superiorità di queste molecole rispetto alle classiche combinazioni contenenti platino, basate sull’istotipo del tumore polmonare. Gli studi in questo contesto hanno fatto sì che l’analisi dello status mutazionale di EGFR divenisse uno standard nelle linee guida internazionali e che l’utilizzo di TKI anti-EGFR in prima linea fosse la prima scelta in pazienti mutati. Il secondo passo fu l’identificazione di una mutazione di resistenza. «I cambiamenti occorsi negli ultimi 15 anni nell’approccio e nel trattamento del tumore al polmone non a piccole cellule in stadio avanzato secondo i clinici sono indubbiamente di impatto nella pratica clinica, ma soprattutto nella qualità e quantità di vita dei pazienti – afferma Silvia Novello, Professore Ordinario di Oncologia Medica all’Università degli Studi di Torino Dipartimento di Oncologia, Responsabile SSD Oncologia Polmonare, AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano e Presidente WALCE – La definizione molecolare e l’introduzione di nuove molecole hanno comportato e comporteranno la necessità di un aggiornamento costante degli specialisti che afferiscono all’oncologia toracica. Contemporaneamente, il paziente affetto da questa patologia necessita di una stretta collaborazione fra chi maggiormente contribuisce alla parte diagnostica e chi invece maggiormente si fa carico della fase terapeutica. L’approccio terapeutico è già cambiato, nel senso che quello che si scopre a livello genetico ha un ritorno sulla terapia: aggiungere ad esempio a una diagnosi di adenocarcinoma polmonare un elemento in più, che può essere la mutazione EGFR, il riarrangiamento di ALK o altro, ha un significato nel momento in cui esistono terapie mirate per quella mutazione, con un vantaggio in termini di efficacia e di tollerabilità per il paziente». La governance dei nuovi farmaci oncologici del modello mutazionale deve essere molto rigorosa, con indicazioni da riservare ai pazienti oncologici in cui la profilazione genomica e i nuovi farmaci devono avere un valore terapeutico aggiuntivo e offrire una nuova opportunità di cura, con particolare riferimento ai tumori rari e ai pazienti che hanno esaurito le linee di trattamenti attuali. Un esempio della nuova gestione riguarda il caso del carcinoma midollare della tiroide (CTM), che può essere sporadico (80%) o familiare (20%). È stata identificata la forma ereditaria di questo tumore grazie all’analisi del DNA dei soggetti affetti, che nel 95-98% dei casi con CTM familiare presentano una mutazione genetica dell’oncogene RET, presente anche nel 50-60% delle forme sporadiche. «Oggi esistono farmaci che possono bloccare l’attività proliferativa dovuta alla mutazione RET e determinare un arresto della crescita
tumorale – spiega Rossella Elisei, Professore Associato di Endocrinologia e Dirigente Medico UO Endocrinologia e Medicina Clinica Sperimentale, AOU Pisana – In particolare uno di questi farmaci, dopo i brillanti risultati dello studio di fase I/II, è già stato approvato negli USA dalla FDA per CTM avanzato in progressione che risulta RET positivo a livello somatico o germinale. In Europa sarà a breve sottoposto alla valutazione dell’EMA per l’approvazione d’uso. L’elemento innovativo di questi farmaci è che, essendo così specifici per la mutazione di RET, hanno scarsissimi effetti collaterali, come invece non accade nel caso di altri farmaci, sempre a bersaglio molecolare ma meno selettivi e che quindi possono indurre effetti collaterali anche importanti».
L’estrema complessità di governance del modello mutazionale in Oncologia ed Ematologia richiede ai decisori, in maniera imprescindibile, l’attivazione di Gruppi multidisciplinari (Molecular Tumor Board) in cui siano integrate le competenze oncologiche, ematologiche, di biologia molecolare, anatomo-patologiche e farmacologiche così da poter governare i processi clinici (comprensione del test genomic profiling), l’appropriatezza e la sostenibilità economica (scelta dei farmaci/combinazioni di farmaci attivi, disponibili e rimborsati oppure disponibili ma non registrati per la specifica indicazione o in fase di sperimentazione clinica). È necessario un nuovo modello organizzativo, che eviti da un lato un impiego incontrollato dei test, dall’altro apra nuove prospettive di cura evitando facili illusioni.
«L’accesso dei malati alla medicina personalizzata, efficace dal punto di vista clinico e finanziariamente sostenibile, presenta purtroppo anche in Italia numerose e spesso insuperabili criticità – sottolinea Francesco De Lorenzo, Presidente FAVO – Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – Ciò perché richiede in maniera imprescindibile l’attivazione di Gruppi interdisciplinari, in cui siano integrate diverse competenze. In aggiunta, dall’impetuoso sviluppo della genomica scaturiscono nuove esigenze che impongono un continuo adeguamento del quadro di riferimento normativo, che richiede lo sviluppo di politiche orientate sui pazienti e quindi anche la conseguente responsabilizzazione delle Associazioni dei malati e l’integrazione dei loro punti di vista nei processi di regolamentazione. La medicina di precisione rappresenta oggi un salvavita e pertanto ogni ritardo regolamentare, infrastrutturale e organizzativo deve far riflettere Governo, Ministeri competenti e Regioni sulle rispettive responsabilità che vanno assumendosi».
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