Scoperto il primo fattore genetico che determina la gravità della sclerosi multipla: i pazienti che ne sono portatori hanno un decorso molto più rapido della malattia verso la disabilità. Resa noto sulla rivista Nature, la scoperta si deve a un team internazionale capitanato da scienziati di Università di Cambridge e Università di San Francisco e potrebbe portare non solo a test prognostici per capire quale sarà il decorso della malattia nel singolo paziente, ma anche aprire a nuove terapie. Lo studio ha coinvolto oltre 22.000 pazienti.
"Ereditare questa variante genetica da entrambi i genitori accelera di quasi quattro anni il momento in cui si ha bisogno di un ausilio per la deambulazione", dichiara Sergio Baranzini dell'Ucsf, coautore dello studio. La sclerosi multipla è una malattia autoimmune caratterizzata da danni alla guaina isolante che riveste le fibre nervose, danni inferti dal sistema immunitario del paziente; nel tempo diverse disfunzioni immunitarie sono state correlate alla malattia ma nessuno di "questi fattori di rischio è in grado di spiegare perché, dieci anni dopo la diagnosi, alcuni pazienti sono in sedia a rotelle mentre altri continuano a correre le maratone", sottolinea Baranzini.
In questo maxi-studio gli esperti hanno confrontato il Dna di oltre 12 mila pazienti: Dopo aver passato al setaccio più di sette milioni di varianti genetiche, gli scienziati ne hanno trovata una associata a una progressione più rapida della malattia. La variante si trova tra due geni mai collegati prima alla Sm, chiamati DYSF e ZNF638. Il primo è coinvolto nella riparazione delle cellule danneggiate e il secondo aiuta a controllare le infezioni virali. La vicinanza della variante a questi geni, normalmente attivi nel cervello e nel midollo spinale, suggerisce che potrebbero essere coinvolti nella malattia.
Per confermare i risultati, poi, gli esperti hanno guardato al Dna di altri 10 mila pazienti. Sarà necessario un ulteriore lavoro per determinare esattamente come questa variante genetica influenzi i geni DYSF, ZNF638 e il sistema nervoso in generale. I ricercatori stanno inoltre raccogliendo una serie ancora più ampia di campioni di Dna di persone con Sm, nella speranza di trovare altre varianti che contribuiscono alla disabilità a lungo termine nella patologia.
Importante il contributo dell'Italia allo studio multicentrico internazionale su Nature che ha permesso di scoprire la prima variante genetica associata a una progressione più rapida della sclerosi multipla. In particolare hanno collaborato l'Università del Piemonte Orientale, l'Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, l'Università degli Studi di Milano, la Fondazione Irccs Casa Sollievo della Sofferenza e l'Asst Santi Paolo e Carlo di Milano. I ricercatori italiani hanno partecipato attivamente a tutte le fasi dello studio e hanno contribuito con un'ampia casistica di persone con Sm accuratamente caratterizzate da un punto di vista clinico, che costituiscono circa il 20% dell'intera popolazione in studio.
I centri di ricerca italiani hanno fornito allo studio dati di un'ampia componente di una popolazione del sud Europa, altrimenti non rappresentata nell'intera casistica, sottolineando il valore della variabilità genetica negli studi di malattie multifattoriali come la Sm. "Questo lavoro rappresenta un'importante svolta nell'ambito della medicina di precisione, in quanto potrebbe, per esempio, portare all'uso di terapie più aggressive sin dall'inizio in quei soggetti portatori di varianti genetiche sfavorevoli per la progressione", affermano i coordinatori della ricerca in Italia, Sandra D'Alfonso (docente di Genetica medica presso l'Università del Piemonte Orientale), Filippo Martinelli Boneschi (docente di Neurologia presso l'Università di Milano e responsabile del centro Sclerosi Multipla presso l'Asst Santi Paolo e Carlo di Milano) e Federica Esposito (responsabile del laboratorio di Genetica Umana delle Malattie Neurologiche presso l'Irccs Ospedale San Raffaele di Milano).
"Inoltre - aggiungono gli esperti - la conoscenza di questa variante e dei due geni in prossimità della variante potrebbe permettere di sviluppare nuovi farmaci che agiscano sul meccanismo d'azione di questi due geni e rallentino la progressione della malattia".
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