Sembrava un alieno in miniatura, con i suoi 15 centimetri di altezza, il cranio allungato, le orbite oculari oblique e le 10 paia di costole: eppure il bizzarro scheletro ritrovato mummificato 15 anni fa nel deserto cileno di Atacama appartiene ad un feto umano di sesso femminile, deformato da una manciata di anomalie genetiche, alcune delle quali sconosciute finora. A svelarlo è il suo Dna, ancora perfettamente conservato, perché risale a soli 40 anni fa: i risultati delle analisi sono pubblicati sulla rivista Genome Research dall'Università di Stanford e da quella della California a San Francisco.
"Ho saputo di questo esemplare da un mio amico e sono riuscito ad averne una foto: è impossibile guardarlo e non pensare che sia interessante, è sensazionale", racconta Garry Nolan, docente di microbiologia e immunologia a Stanford. "Per questo ho detto al mio amico, 'qualunque cosa sia, se ha un Dna, posso analizzarlo'".
Il sequenziamento, condotto in collaborazione con Atul Butte, direttore dell'Istituto di scienze computazionali per la salute dell'Università della California, dimostra che lo scheletro, chiamato 'Ata', ha un Dna umano tipicamente cileno, perché presenta caratteristiche riconducibili ad antenati nativi americani ed europei. A determinare le deformità dello scheletro sarebbero state alcune rare mutazioni ritrovate in 7 geni legati a malattie come il nanismo, la scoliosi e varie anomalie muscolo-scheletriche.
Secondo i ricercatori, lo studio delle ossa precocemente invecchiate di Ata (che dimostrano 6-8 anni di età) potrà essere d'aiuto nella lotta alle malattie dell'osso e perfino nella ricerca di farmaci per accelerarne la riparazione in caso di frattura, ma non solo.
"Analizzare un campione enigmatico come quello del genoma di Ata ci può insegnare come gestire oggi in ambito medico i campioni, magari legati a più mutazioni", sottolinea Butte. "Quando studiamo il genoma di pazienti con sindromi insolite, ci potrebbe essere più di un gene o di un meccanismo coinvolto dal punto di vista genetico, cosa che non viene sempre considerata".
Invece di cominciare a studiare la malattia cercando il gene mutato che potrebbe spiegarla, si potrebbe procedere al contrario, comparando il Dna del paziente con quello di persone sane: le differenze genetiche così emerse potrebbero svelare i meccanismi biologici alla base della malattia.
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