Riuscire a vedere le primissime crepe prima che si propaghino, provocando danni capaci di far cedere ogni tipo di struttura, gigantesca come i ponti o piccola come gli impianti dentali: è quanto permette di fare la tecnica sviluppata negli Stati Uniti, nell'università del Texas, che per la prima volta permette di osservare sul nascere, in 3D, lesioni microscopiche e impercettibili che gradualmente possono estendersi.
Pubblicato sulla rivista Nature Communications, il risultato potrà aiutare a progettare strutture più sicure e a mettere a punto materiali più resistenti. La prima, microscopica, crepa, è stata osservata dal gruppo di ricerca guidato da Michael Demkowicz utilizzando il più potente dei microscopi, ossia la strutture per la luce di sincrotrone presso il Laboratorio Nazionale delle Argonne. L'immagine tridimensionale di questa minuscola fessura ha permesso di osservarne la propagazione e di individuare, lungo il percorso, tutti i punti deboli.
L'esperimento è stato condotto su un metallo perché è il materiale che più facilmente può essere danneggiato dall'idrogeno, soprattutto da quello presente nell'acqua. Quando l'idrogeno veicolato dall'acqua penetra in un metallo, infatti, lo rende fragile fino a provocare fratture improvvise a causa del processo chiamato 'infragilimento da idrogeno'. E' un fenomeno noto da 150 anni, ma ancora difficile da prevedere perché il suo meccanismo non è ancora chiaro. "Di conseguenza gli ingegneri devono progettare usando altri materiali per coprire qualsiasi frattura improvvisa, facendo salire i costi", aggiunge Peter Kenesei, coautore dello studio.
Finora l'unico modo per analizzare le crepe nel metallo è stato controllare i frammenti a danno avvenuto, ma la nuova tecnica potrebbe costituire una premessa per una prevenzione più efficace ed economica in quanto permette di visualizzare il danno sul nascere. "E' molto meglio che arrivare sulla scena del crimine dopo che il delitto c'è già stato", commenta Demkowicz.
Analizzando le minuscole crepe in una superlega di nichel, i ricercatori così identificato ben 10 microstrutture capaci di rendere i metalli più forti e meno inclini a subire il danno da idrogeno. Tuttavia, perché questa tecnica possa diventare una realtà bisognerà aspettare ancora molto tempo perché le microlesioni sono davvero molto complesse, addirittura più complicate della struttura a doppia elica del Dna.
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