Pubblicate le prime immagini dettagliate di una dorsale oceanica. Si spinge fino a 120 chilometri di profondità, dove le placche continentali si allontanano molto lentamente, alla velocità di meno di 20 millimetri l’anno. È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Nature da un gruppo dell’Università norvegese di Scienza e Tecnologia, coordinato da Ståle Emil Johansen.
I ricercatori hanno studiato i fondali con innovative tecniche che permettono di effettuare delle scansioni elettromagnetiche grazie a navi oceanografiche. Hanno, in particolare, analizzato la dorsale ‘Mohns Ridge’ nel mare della Groenlandia, nell’arcipelago delle isole Svalbard.
“I segnali generati dalla diversa conducibilità elettrica delle rocce possono essere trasformati in immagini, e mostrarci la distribuzione dei diversi tipi di rocce nella dorsale”, ha spiegato Johansen.
“In questa regione, ricca di sorgenti idrotermali, la crosta è ad esempio più sottile. La nostra ipotesi - ha aggiunto - è che più del 30% delle dorsali oceaniche si muova molto lentamente, come quella della Groenlandia. Si tratta delle dorsali più profonde e inaccessibili”, ha rilevato Johansen.
L’idea che la crosta terrestre fosse, in realtà, un puzzle di enormi placche continentali, che galleggiano come zattere sul mantello fluido sottostante, era venuta agli inizi del Novecento al geologo tedesco Alfred Wegener.
In una lettera scritta alla futura moglie nel corso di una spedizione rifletteva sulla curiosa forma della costa orientale del Sud America e di quella occidentale dell’Africa, che “si adattavano perfettamente, come se un tempo fossero state unite”, scriveva.
Queste placche, in passato parte di supercontinenti, chiariscono gli esperti, continuano a muoversi in modo impercettibile. I lenti movimenti avvengono in corrispondenza di cicatrici dove si forma nuova crosta, con roccia fusa che risale dal mantello formando delle dorsali montuose.
Queste ferite della crosta, però, si trovano spesso sui fondali oceanici, e sono quindi difficili da studiare. La ricerca, concludono i geologi norvegesi, “potrà adesso aiutare a comprendere i meccanismi fondamentali di formazione di queste dorsali profonde, i cui movimenti possono essere responsabili di attività sismica e vulcanica”.
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