Intel nasceva il 18 luglio del
1968, esattamente 56 anni fa. Il business del colosso americano
si è consolidato nel tempo, incentrato sulla realizzazione di
semiconduttori. I chip, che hanno vissuto una crisi di
disponibilità durante il Covid, sono sempre più determinanti per
l'economia mondiale. Il trend dell'intelligenza artificiale
generativa li rende ancora più critici per il successo e la
velocità di modelli e algoritmi. Si chiama Idm 2.0, la strategia
con cui il CEO di Intel, Pat Gelsinger, ha inaugurato una
progressiva evoluzione nelle strategie dell'azienda. Intel lo
descrive come il cambiamento più significativo in 56 anni di
storia. Idm, sta per sta per "Integrated Device Manufacturer",
riferito alle organizzazioni capaci sia di progettare e
commercializzare che di fabbricare semiconduttori. Questo a
differenza delle fonderie, come Tsmc o GlobalFoundries, che
fabbricano solo semiconduttori di altre aziende, e dei chip
designer fabless (senza fabbrica) come Nvidia o Apple, che hanno
bisogno di fonderie per fabbricare i propri prodotti. L'aggiunta
del "2.0" nasce dalla volontà di Intel di aprire le porte delle
proprie industrie anche ad altre imprese, diventando a tutti gli
effetti anche una fonderia. Ci sono già degli accordi
annunciati: MediaTek, Ericsson, Microsoft, persino la rivale
Arm. I concorrenti sul mercato dal punto di vista del prodotto
possono usufruire dei servizi di fonderia di Intel, che per
l'occasione ha dato il benvenuto a due segmenti distinti: Intel
Foundry e Intel Products. "La scelta di investire per l'apertura
delle proprie fonderie a clienti esterni si basa prevalentemente
su due tendenze del mercato" ci dice Nicola Procaccio, Country
Lead Italia di Intel. "La prima è la crescita della domanda dei
prodotti basati sul silicio nei prossimi anni. Chiamato
Siliconomy, il valore di questo mercato raggiungerà i 1.000
miliardi di dollari entro il 2030, spinto anche dalla domanda di
semiconduttori per l'IA. Nel 2017, la domanda di semiconduttori
per abilitare l'intelligenza artificiale era il 7% del mercato
totale di chip. Nel 2025, il valore salirà al 20%". Automotive e
healthcare sono alcuni dei settori per i quali i chip
svolgeranno un ruolo determinante. "La seconda ragione è
l'attuale squilibrio della filiera dei semiconduttori - prosegue
Procaccio. "I produttori sono prevalentemente in Asia. Il
continente produce circa l'80% dei chip globali. Intel ritiene
che questo sia un problema per la solidità e la resilienza della
filiera, per cui è necessario un riequilibrio geografico". Per
questo motivo l'azienda ha intrapreso un piano di investimenti
che coinvolge Stati Uniti ed Europa con l'apertura di nuove
fonderie e aumentare così la capacità produttiva. Sono stati
annunciati investimenti per oltre 100 miliardi di dollari negli
Usa e 50 miliardi di euro in Europa, tra Germania, Polonia e
Irlanda. L'idea è quella di realizzare una filiera del chip
"Made in Ue" e diminuire la dipendenza da un'unica area
geografica, per un bene strategico per l'economia. "I
semiconduttori saranno importanti nei prossimi 50 anni, quanto
lo è stato il petrolio negli ultimi 50. E la dislocazione dei
loro impianti di produzione può determinare scenari geopolitici.
Ma se per il petrolio non era possibile scegliere dove collocare
le riserve, per i semiconduttori c'è la possibilità di decidere
dove costruire le fabbriche" conclude il manager.
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