Per il tribunale del Riesame di
Bologna è "tutt'altro che remota" l'ipotesi che Giampiero
Gualandi possa aver finito per non reggere più la pressione
emotiva esercitata su di lui dagli atteggiamenti "assillanti o
persecutori" di Sofia Stefani, "fino a perdere il controllo al
punto da vedere nell'eliminazione fisica della persona che
costituiva il proprio problema l'unica via d'uscita percorribile
per riguadagnare la perduta stabilità psicologica". Lo scrivono
i giudici, motivando la decisione di confermare la custodia
cautelare in carcere per il 62enne ex comandante della polizia
locale di Anzola Emilia, accusato dalla Procura dell'omicidio
volontario aggravato dell'ex collega 33enne, con cui aveva avuto
una relazione: Stefani è stata uccisa il 16 maggio negli uffici
del comando della Polizia locale.
Il collegio sottolinea le esigenze cautelari, confermando
quanto deciso dal Gip: l'assenza di precedenti e l'aver vissuto
onestamente, come sostenuto dalla difesa (avvocato Claudio
Benenati), per i giudici sono dati "relegati in assoluto secondo
piano, scadendo ad elementi puramente formali, a fronte di un
femminicidio efferato, realizzato sparando alla vittima con
l'arma di ordinanza, e soprattutto, architettato pensando nel
contempo anche alla giustificazione postuma per cercare di
simulare la tragica fatalità". Il Riesame (presidente Gianluca
Petragnani Gelosi, relatore Renato Poschi) smonta infatti la
versione difensiva di un incidente, un colpo partito per errore
durante una colluttazione. Diversi elementi raccolti
dall'indagine smentiscono l'ipotesi che avesse l'arma
casualmente in ufficio per pulirla: si tratterebbe di un
pretesto. Gualandi, viene ricostruito, si era premunito della
pistola, prelevandola dall'armeria, per usarla contro di lei,
ben sapendo o comunque ritenendo altamente prevedibile che
Stefani sarebbe piombata nel suo ufficio (per un incontro
chiarificatore sul loro rapporto). Inverosimile è anche
l'aggressione da parte della 33enne.
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