(di Mattia Bernardo Bagnoli)
L'Ucraina è il caso più
emblematico e sensibile. Ma non è il solo. Budapest, con i suoi
veti, ormai sta paralizzando la politica estera dell'Unione
Europea - si fanno gli esempi della Georgia, dell'Armenia,
persino di Gaza - e la stanchezza, al Consiglio Affari Esteri,
si è trasformata in aperta ostilità, c'è chi dice per la prima
volta. "Abbiamo avuto una discussione animata, le legittime
obiezioni nazionali devono essere proporzionali: gli aiuti
militari a Kiev non possono essere presi in ostaggio da altre
questioni", ha commentato l'alto rappresentante Josep Borrell
confermando essenzialmente le indiscrezioni trapelate dalla sala
consigliare.
Al centro dello scontro l'opposizione di Budapest ad erogare
i finanziamenti - 5 miliardi di euro - del nuovo Fondo per
l'Ucraina, creato all'interno del Fondo Europeo per la Pace
(Epf). Oltre che tre tranche di rimborsi da 500 milioni
ciascuna. Gran totale: 6,5 miliardi. La motivazione? Pare le
condizioni sfavorevoli per le aziende ungheresi in Ucraina. "La
posizione ungherese sta diventando apertamente pro-russa, non si
può più parlare di approccio transazionale" spiega all'ANSA una
fonte bene informata. "Serve trovare una soluzione pratica",
dice, sollevando l'ipotesi di una 'investitura' del Consiglio
Europeo. Anche perché il primo di luglio la presidenza di turno
passerà all'Ungheria e diversi Stati membri, a questo punto,
temono che i dossier più spinosi (per Budapest) possano finire
su un binario morto, magari persino con un occhio alle esigenze
di un certo Donald Trump e della sua campagna per tornare alla
Casa Bianca.
La ministra tedesca degli Esteri, Annalena Baerbock, ha
intimato apertamente all'Ungheria di "rimuovere il veto",
sottolineando che "l'Europa è forte quando è unita". "Non
possiamo accettare che un solo Paese, che pure aveva
sottoscritto la misura pochi mesi fa al Consiglio Europeo,
blocchi ora questo aiuto cruciale per l'Ucraina", le ha fatto
eco l'omologa belga Lahbib. "Siamo contrari al veto, vogliamo
avanzare", ha confermato anche il ministro italiano Antonio
Tajani. Ma Budapest punta i piedi e annuncia pure il veto al
14esimo pacchetto sanzioni, perché contrario agli "interessi
energetici nazionali". "Il ministro Szijjártó è inutile, ripete
la propaganda del suo capo e basta, serve parlare direttamente
con Orban", è l'analisi di un'altra fonte altolocata che rende
bene l'idea di quanto i toni ormai siano ben poco diplomatici.
I numeri d'altra parte stanno diventando imbarazzanti. Il
lituano Gabrielius Landsbergis ha calcolato che "il 41% delle
decisioni collettive" dell'Ue sull'Ucraina è stato bloccato da
Budapest. "Sul Fondo di assistenza per Kiev ho sette atti
legislativi fermi ed è un ritardo che si conta in vite umane",
ha stigmatizzato Borrell. Che ha poi chiesto agli Stati membri -
ma si rivolgeva in realtà a uno solo - di non fermare i decreti
sull'uso degli extraprofitti russi per dare aiuti militari
all'Ucraina (circa altri 2,8 miliardi), tanto più che Budapest
ha già ricevuto un'esenzione su entrambi i capitoli. Insomma, la
sfiducia dei 26 (forse con la sola eccezione della Slovacchia) è
ormai palpabile.
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