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Allarme sanità, la dottoressa aggredita: "Lascio la professione medica"

"L'episodio mi ha fatto decidere". Il sindacato dei medici chiede l'esercito. Schillaci: verso direttiva su interventi rapidi delle forze dell'ordine in corsia

"Ci stavo pensando da tempo. Lascerò la professione medica. Questo episodio è stata l'occasione per decidere di fare altro". Lo ha detto la specializzanda Adelaide Andriani, 28 anni, aggredita a Udine mentre era di turno come guardia medica, parlando con il vicegovernatore del Fvg, Riccardo Riccardi. Lo ha riferito lo stesso Riccardi al termine di un incontro con Andriani e la collega Giada Aveni, intervenuta in difesa della collega. Il vicegovernatore ha precisato che "prima di tutto le due dottoresse stanno bene. Hanno parlato con noi di quello che è accaduto e di come hanno vissuto questa brutta esperienza". 

"Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, si farà promotore presso il Governo di una iniziativa per l'emanazione di una direttiva specifica da parte del Ministero dell'Interno a tutte le Prefetture, per procedere in tempi certi e rapidi alla stipula dei protocolli operativi con le Aziende sanitarie per garantire interventi rapidi delle forze odine in caso di aggressioni". Lo afferma il presidente della Federazione delle Aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), Giovanni Migliore, che oggi ha incontrato il ministro Schillaci per un confronto sulla questione delle aggressioni in corsia.

Prevedere la presenza dell'Esercito e delle Forze dell'Ordine innanzitutto nei presidi ospedalieri a maggior rischio perché in aree più disagiate, ed avviare una sperimentazione da estendere poi eventualmente a tutto il territorio nazionale. Ma non solo: stop ai turni di notte nelle guardie mediche se si lavora da soli, prevedendo accordi con il sistema 118 per l'assistenza notturna. E' la proposta del presidente della Federazione degli ordini dei medici (Fnomceo) Filippo Anelli: "Questo - afferma all'ANSA - potrebbe rappresentare un modello efficace per contrastare il fenomeno delle aggressioni contro i medici ed i sanitari".

Le aggressioni in corsia sono "un fenomeno in crescita e sempre più insopportabile, che va arginato inviando nelle strutture ospedaliere le Forze dell'Ordine, eventualmente anche l'esercito, per garantire l'ordine pubblico". A chiederlo è il sindacato dei medici Federazione Cimo-Fesmed che per tutelare il personale sanitario dalla violenza propone l'operazione "Ospedali sicuri".

Le aggressioni che si verificano negli ospedali di tutta Italia ai danni di medici, infermieri e operatori sanitari, spiega Guido Quici, presidente della Federazione Cimo Fesmed, "sono ormai all'ordine del giorno". "Militarizzare i luoghi di cura potrà apparire una misura esagerata, ma ci troviamo di fronte ad un'emergenza che richiede un intervento straordinario. Proponiamo allora l'avvio di un'operazione 'Ospedali sicuri', sulla scia di 'Strade sicure', per tutelare il personale sanitario e disincentivare le azioni violente". Vista "la grave crisi che sta investendo il Servizio sanitario nazionale, con liste d'attesa infinite, pronto soccorso affollati, carenza di posti letto e di personale ed assistenza territoriale limitata, la situazione - conclude Quici - non potrà che peggiorare. Dunque l'esasperazione e la rabbia dei pazienti non potranno che aumentare, insieme al rischio di un aumento delle azioni violente".

La replica dell'Esercito. "Siamo esecutori di ordini e siamo pronti a fronteggiare qualsiasi evenienza, ma è proprio necessario che sia l'Esercito a occuparsi di queste mansioni? Anche perché distoglieremmo gli uomini da altri incarichi". Così il Cocer dell'Esercito, con il delegato Gennaro Galantuomo, in merito alla richiesta di alcuni sindacati dei medici di avere i militari negli ospedali. "L'Italia - sottolinea - è un paese abituato a fronteggiare le emergenze con l'Esercito. Siamo esecutori di ordini, ma l'importante è che vengano date consegne specifiche, altrimenti sarebbe imbarazzante svolgere funzioni che di solito svolgono le forze di polizia".

 



   

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