Un omicidio feroce quanto insensato. Nessun movente, nessun perché. Sharon Verzeni "era nel posto sbagliato nel momento sbagliato", ha commentato con amarezza la procuratrice aggiunta di Bergamo Maria Cristina Rota dopo il fermo del suo assassino reo confesso, che in casa aveva una sagoma di cartone per esercitarsi a lanciare coltelli, ad un mese esatto dalla morte della trentatreenne.
Sharon, barista con un diploma d'estetista, ha incontrato il suo assassino Moussa Sangare, 31 anni, all'una di una notte afosa di un mese fa, in via Castegnate a Terno d'Isola, un paesotto in provincia di Bergamo, dove stava passeggiando perché la sua dietologa gliel'aveva consigliato. Era stata raggiunta da un uomo in bicicletta che l'ha presa per il collo e le ha dato una prima coltellata allo sterno per poi infierire con altre tre, lasciandola agonizzante. Solo il tempo di una telefonata: "Mi ha accoltellato". E poi è morta poco dopo. Quell'uomo è stato fermato per omicidio premeditato e con l'aggravante dei futili motivi dopo una "tenace indagine" dei carabinieri.
Sangare, nato a Milano ma residente a Suisio, a pochi chilometri da Terno d'Isola, italiano di famiglia maliana, ha "pienamente confessato". Un passato tranquillo in paese, le ambizioni da rapper con le collaborazioni con nomi noti come Izi ed Ernia, poi i viaggi all'estero e il ritorno in Italia "completamente cambiato", come raccontano in paese. E' lui quell'uomo in bicicletta inquadrato dalle telecamere di sorveglianza mentre percorre contromano via Castegnate, che da settimane i militari cercavano. Non è stato sufficiente quell'immagine; alla sua identificazione hanno concorso le testimonianze di due stranieri che ai militari avevano cercato di indicare una pista ma, quando hanno visto dei frame più nitidi, raccolti nell'intera zona tra Terno e Suisio hanno detto: "E lui". Il 31enne, che aveva precedenti per maltrattamenti nei confronti della madre e della sorella, tanto che non viveva più con loro ma in una casa occupata, è stato rintracciato nella tarda mattinata di ieri a Chignolo d'Isola e portato in caserma. Prima, assistito da un legale, ha reso dichiarazioni spontanee e poi, nella notte, ha reso un interrogatorio senza apparenti reticenze anche se rimangono aspetti da verificare. "Ho avuto un raptus improvviso. Non so spiegare perché sia successo, l'ho vista e l'ho uccisa", ha ammesso dicendosi "dispiaciuto".
Versione a cui poco credono gli inquirenti considerando che era uscito armato con quattro coltelli, che evidentemente dovevano essere diventati per lui un'ossessione. Non solo: prima di colpire a morte Sharon, per sua stessa ammissione, aveva minacciato due ragazzini mostrando il coltello. E ora i pm rivolgono un appello ai due minori perché si facciano sentire. Lui stesso ha indicato l'arma del delitto, seppellita a Medolago, vicino al fiume Adda e che è stato già inviato al Ris per aver la certezza che sia il coltello con cui è stata uccisa Sharon. Gli atri tre coltelli e i suoi vestiti sporchi di sangue li ha gettati in un sacchetto nel fiume, recuperato dai sommozzatori. "È uscito di casa con quattro coltelli e quindi gli è stata contestata la premeditazione: l'obiettivo era evidente, voleva colpire qualcuno", ha spiegato Maria Cristina Rota, mentre le indagini sono state coordinate dal pm Emanuele Marchisio: "Non c'è nessun movente religioso, né terroristico, non appartiene ad alcun movimento religioso", ha aggiunto. La Procura sta anche valutando se vi sono stati in passato delitti con modalità analoghe ma, allo stato, Sangare ha il solo precedente dei maltrattamenti in famiglia.
"E' molto verosimile che ci sia una problematica psichiatrica, anche se è un discorso prematuro e sarà un tema da approfondire con consulenze ed un'eventuale richiesta di perizia, ma è comunque un aspetto questo rilevantissimo", ha spiegato il suo avvocato difensore Giacomo Maj. Il legale ha aggiunto che non avrebbe fatto cenni all'assunzione di alcol o droghe. "Il suo gesto non dovrebbe essere dovuto a queste cose - ha aggiunto - è stata una cosa senza senso, di cui anche lui non sa la motivazione". In effetti anche la procuratrice aggiunta Rota ha detto che durante la notte tra dichiarazioni spontanee e confessione non ha mai dato la sensazone di essere alterato, anche se a Siusio tutti parlano della sua tossicodipendenza. Di certo, non aveva nessuno rapporto di natura personale con Sharon, nessun attrito con il compagno Sergio Ruocco, che non è mai stato indagato. "Poteva essere la signora Verzeni o uno di noi che passava di lì", la sintesi della procuratrice Rota. Perché è stato un delitto feroce. Senza un movente, senza un perché.
I DUE TESTIMONI - Erano usciti per allenarsi la notte tra il 29 e il 30 luglio scorsi i due testimoni - italiani di origine marocchina - che hanno riferito agli investigatori di aver visto un uomo in bicicletta la sera del delitto di Sharon Verzeni a Terno d'Isola e che poi hanno riconosciuto Moussa Sangare, il 31enne - italiano con origini nel Mali - che, portato al comando dei carabinieri e interrogato, ieri all'alba ha confessato l'omicidio. I due testimoni, 25 e 23 anni, il primo commesso in un negozio di abbigliamento e l'altro autista per un grande magazzino, giocano rispettivamente a kickboxing e calcio e quella sera erano usciti, hanno spiegato in un'intervista a Repubblica, come al solito molto tardi. "Era più o meno mezzanotte - hanno ricordato -, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia e davanti al cimitero dove ci siamo fermati per fare delle flessioni. A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po' strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima. Abbiamo raccontato di quel ragazzo quando siamo stati chiamati in caserma". Quanto hanno riferito è stato uno degli indizi che hanno consentito ai carabinieri di arrivare a Sangare. "Ora - hanno riferito dopo aver appreso del fermo del 31enne - ci sentiamo orgogliosi per essere stati utili all'identificazione dell'assassino". "Noi - hanno aggiunto - abbiamo avuto la cittadinanza italiana da ragazzini, a quindici anni. Vogliamo far riflettere che se il killer è di origini straniere, lo siamo anche noi. Forse senza la nostra testimonianza sarebbe libero. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere". Ai due adesso resta solo un rimpianto, dato che quella notte non si trovavano vicino al luogo dell'aggressione: "Non abbiamo potuto fare qualcosa per Sharon. Se fossimo stati più vicini forse avremmo potuto salvarla. Magari l'assassino ha visto una preda facile, come quei due ragazzini che voleva aggredire. Quando ha incrociato noi, invece, ci ha solo guardato male ed è andato avanti".
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