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Presentato nella sede del Consiglio Veneto il libro “Incolpevoli per aver commesso il fatto”

PressRelease

Presentato nella sede del Consiglio Veneto il libro “Incolpevoli per aver commesso il fatto”

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Responsabilità editoriale di CONSIGLIO REGIONALE VENETO

la storia di Cristina Pavesi, vittima della mafia del Brenta

27 giugno 2024, 15:24

CONSIGLIO REGIONALE VENETO

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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PressRelease - Responsabilità editoriale di CONSIGLIO REGIONALE VENETO


(Arv) Venezia 27 giu. 2024 -     Presentato questa mattina a Venezia, a palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio regionale del Veneto, il libro “Incolpevoli per aver commesso il fatto - Storia di Cristina Pavesi, vittima della mafia del Brenta” di Gianluca Ascione e Michela Pavesi (Panda Edizioni). L’opera ricorda quanto accaduto il 13 dicembre 1990, quando la banda di Felice Maniero assalta un treno in viaggio tra Venezia e Padova per rubare i valori contenuti in un vagone postale utilizzando una carica di esplosivo la cui deflagrazione investe sull’altro binario, all’altezza di Barbariga di Vigonza (PD), anche il convoglio dove si trova Cristina Pavesi, ventiduenne studentessa universitaria originaria di Treviso prossima alla discussione della tesi di laurea, che viene uccisa dall’onda d’urto e dalle schegge. Gli autori narrano questa vicenda e ne tratteggiano le conseguenze raccogliendo nel testo - prefato da Libera, Gens Nova e Avviso Pubblico - il racconto di Michela Pavesi, zia paterna di Cristina, impossibilitata a partecipare alla presentazione, che affida le memorie allo scrittore Gianluca Ascione. Il Consiglio regionale del Veneto ha voluto così sottolineare l’importanza della memoria delle vittime di mafia nel corso di un incontro durante il quale sono intervenuti Erika Baldin, Consigliere segretario dell’ufficio di presidenza dell’assemblea legislativa e promotrice dell’evento, l’autore Gianluca Ascione, Antonino Cappelleri, già Procuratore Capo di Padova, il componente dell’Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza Pierluigi Granata, il coordinatore nazionale di Avviso Pubblico Pierpaolo Romani.
“Oggi parliamo di vittime incolpevoli di mafia - ha sottolineato il Consigliere segretario Baldin - una mafia del tutto particolare che ha origine nella nostra terra, una mafia di origine rurale, diversa rispetto alle altre, ma colpevole di tantissimi reati. Il Consiglio in questi anni ha mosso diversi passi nella direzione del contrasto alla criminalità organizzata, come l’istituzione dell’Osservatorio previsto dalla legge regionale 48 del 2012, una sorta di “legge quadro” sulla legalità che assegna all’Osservatorio il ruolo di raccogliere le informazioni sull’evoluzione delle forme criminali nella regione e sugli strumenti di presidio della legalità già presenti nel territorio, con lo scopo di elaborare proposte per rafforzali ulteriormente. Da ultimo, è stato tradotto in legge l’obbligo per la Regione del Veneto di costituirsi parte civile nei processi di mafia. In questo contesto, raccontiamo la storia di Cristina Pavesi, con l’autore del libro”.
“Non avevo cercato questa storia - ha ricordato Ascione - mi è arrivata addosso quando, due anni fa, ho osservato nella biblioteca di Treviso la targa in ricordo di Cristina Pavesi cercando così di iniziare per la prima volta la ricostruzione di quei fatti, cercando documentazione, testimonianze, e soprattutto di coinvolgere la famiglia. Ho conosciuto così Michela, la zia di Cristina, che ha consentito di far emergere la figura della nipote riportata nel libro, nella speranza che il lettore possa diventare ‘empatico’ con chi ancora oggi, come le famiglie coinvolte in questi delitti, sono condannate a una sorta di ergastolo morale: la giustizia terrena non ha aiutato la famiglia di Cristina, ma nelle giornate dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie sarà importante continuare a tenere viva questa particolare memoria”.
“Si tratta di un libro importante - ha sottolineato Romani - per il particolare legame tra Avviso Pubblico e Michela, la zia di Cristina, che ha saputo trasformare il proprio dolore in una fonte di impegno civico, e la cui lettura spinge verso un impegno costante, competente e qualificato volto a capire cos’è stato il Veneto negli anni ‘80 e ‘90 e cos’è oggi il Veneto: il Veneto non è una terra di mafia, ma interessa molto alle mafie, ovvero a ‘ndrangheta, camorra, mafia, sacra corona unita e gruppi stranieri, una regione dove è necessario porre attenzione a ciò che succede nell’economia e nella politica”.
“Un libro importante - ha rimarcato Granata - anche per evitare che il passato si ripeta: i giovani non hanno memoria circa i fatti di mafia in Veneto e non c’è contezza del pericolo attuale che corre la regione. Il volume serve a parlare di mafia, fenomeno riconosciuto come tale anche dalla Cassazione, per evitare che il passato ritorni alla ribalta, com’è accaduto con le più recenti inchieste relative alla mala del Tronchetto, e per i rinnovati rapporti con le organizzazioni criminali estere, percorso che vide come precursore proprio la mafia del Brenta”.
“La memoria, e in particolare la memoria narrata nel libro - ha ribadito Antonino Cappelleri, già Procuratore Capo di Padova - serve per capire e immunizzarsi. Uno dei punti sollevati anche dalla vicenda Pavesi è il seguente: questa criminalità è stata mafia o criminalità di alto livello? L’immagine classica è quella delle mafie del sud che ambiscono a comandare il territorio tramite un capoclan che svolge un ruolo simile a quello di un ‘feudatario’ che cerca di esercitare il controllo totalizzante sul territorio, infiltrando politica, forze dell’ordine ed economia. La mala del Brenta è diversa perché proviene da una mentalità diversa e ciò si può evincere anche dalle affermazioni sul fenomeno da parte di Felice Maniero, il quale disse di non aver mai cercato un aumento del livello di conflitto con le istituzioni temendone la ritorsione, assumendo così un profilo diverso alle formazioni meridionali, anche rispetto al fenomeno dei sequestri a scopo di estorsione degli anni ‘70 e ‘80, meno ‘convenienti’ rispetto al controllo del traffico degli stupefacenti. La mafia veneta non ha come modello di riferimento il feudo, bensì l’azienda, illecita, e il tentativo di scalzare e reprimere la ‘concorrenza’, altrettanto illecita. Nella formazione del Brenta sono presenti tutti i connotati della formazione mafiosa, strutturata in maniera diversa rispetto a quella meridionale”.

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