"L'escalation di violenza e
allarmanti azioni di plateale contrapposizione ai danni dello
Stato italiano", come la cosiddetta "rivolta dei cassonetti"
scoppiata a febbraio 2019 a Ferrara sono il segno di come "i
Vikings e i loro simboli sono divenuti ben presto riconoscibili
anche al di fuori della comunità nigeriana e altamente temuti
ormai da tutti i residenti nella zona". Sono le parole del gup
Francesca Zavaglia che descrivono l'impatto della mafia
nigeriana nel territorio ferrarese, nella sentenza del rito
abbreviato per sei persone, condannate a giugno di quest'anno,
mentre altre 17 sono a giudizio, con il dibattimento iniziato
ieri a Ferrara. La rivolta, con persone in strada e bidoni
rovesciati, avvenne in seguito a un investimento di un nigeriano
di 28 anni, inseguito dalle forze dell'ordine e come reazione
alla voce, infondata, che fosse morto.
La motivazione, in 110 pagine, ricostruisce l'indagine del pm
della Dda di Bologna Roberto Ceroni e della squadra mobile, nata
da un'aggressione a colpi di machete del luglio 2018 e che a
ottobre 2020 ha portato a una sessantina di arresti. Il giudice
riconosce l'associazione mafiosa del gruppo legato al clan
Vikings-Arobaga e parla di un "progetto espansionistico" portato
avanti attraverso "scorribande violente, annientamento fisico
degli avversari e elevatissima capacità intimidatoria nel
contesto di riferimento". Di una "violenza eletta a metodo di
sopravvivenza e operatività del sodalizio", di come gli
affiliati erano obbligati a versare somme di denaro a favore
dell'associazione, di come venivano puniti i disubbidienti, di
come venivano incrementati i profitti illeciti attraverso il
traffico di droga, di come si lottava per acquisire supremazia
sul territorio contro bande rivali.
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