"Per Alessia è un momento orribile, ma finirà. Chiunque avesse la possibilità di parlare ad Alessia dovrebbe dirle di non arrendersi all'estorsione di una falsa confessione. Qualunque sia il verdetto del tribunale iraniano bisogna ricordare che in realta il loro scopo è stabilire un suo prezzo nei negoziati con l'Italia. Per questo dico ai familiari di Alessia di essere forti e avere speranza. Teheran l'ha arrestata perché adesso spera di aver qualcosa in cambio, il che significa che sono disposti a lasciarla andare". E' il messaggio di Kylie Moore-Gilbert, 36enne australo-britannica, ex-detenuta nella prigione di Evin, in Iran, dove adesso si trova la travel blogger italiana, Alessia Piperno.
Kylie Moore-Gilbert è stata arrestata poco più che trentenne, nel settembre 2018 all'aeroporto di Teheran, dopo una visita di due settimane in Iran dove aveva partecipato a una conferenza: lavorava come docente all'università di Melbourne in Australia ed era stata invitata alla conferenza da un ateneo iraniano. Le Guardie Rivoluzionarie l'hanno arrestata, rinchiusa in una cella di isolamento della prigione di Evin e alla fine condannata a dieci anni per 'spionaggio'. "Sono stata rilasciata dopo 2 anni e 3 mesi nel novembre 2020 a seguito di un accordo per lo scambio di prigionieri, organizzato dal governo australiano. Sul mio calvario in Iran poi ho scritto un libro, 'The Uncaged Sky'".
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Kylie ha anche ricordato quanto ha vissuto in quei due anni nella prigione di Evin: "Essere rinchiusa in una cella di isolamento è una tortura. Il dolore psicologico è così estremo che a volte senti dolore fisico. Ho provato disperazione, desiderio di morte, tristezza, rimpianto. Più tardi, dopo essere stato trasferita in una cella con altri prigionieri, che sono diventati miei amici, sono diventata più ottimista e pieno di speranza. Ho iniziato a reagire e resistere ai miei aguzzini. Nel carcere gli stranieri non sono torturati fisicamente, c'è attenzione sul loro stato di salute. Ma gli stranieri sono spesso trattati anche peggio degli iraniani, in quanto di solito gli vengono negate le telefonate o i contatti con la famiglia o i rappresentanti dell'ambasciata, e quasi sempre non hanno familiari in Iran che possano dare sostegno economico per ottenere cibo e beni di prima necessità all'interno della prigione. C'è poi la difficoltà linguistica: quasi nessuno parla inglese e nessuna guardia carceraria conoscerebbe, nel caso di Alessia, l'italiano. Comunicare i propri bisogni primari alle autorità carcerarie, o difendersi, è quindi quasi impossibile".
L'ex detenuta del carcere di Evin ha infine ribadito che "è assolutamente fondamentale mantenere alta l'attenzione dei media sul caso di Alessia, in particolare all'interno dell'Italia. Da una parte il governo italiano spinga sui negoziati con l'Iran per il rilascio, dall'altra i suoi familiari conducano una campagna per lei, affinché il suo caso non sia presto dimenticato".
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