(ANSA) - ROMA, 17 APR - Aveva preso di mira la psicologa che
nella causa di separazione dal marito doveva fare perizie sulla
idoneità genitoriale sua e del coniuge per decidere le modalità
di affidamento della loro bimba e aveva tempestato i social -
per lo più gruppi di madri scontente degli affidi - di post nei
quali accusava la professionista di essere collusa e protetta
dalla mafia e di formulare perizie false. Era arrivata a
pedinare la professionista e a farle appostamenti. Stessa sorte
era toccata anche all'assistente sociale. Adesso la Cassazione
ha confermato le accuse di stalking e diffamazione a carico di
questa mamma di Busto Arsizio (Varese), imputata e condannata in
via definitiva a un anno e sei mesi di reclusione.
Senza successo la difesa della donna, una signora di 48 anni,
ha protestato contro la condanna inflittale in primo grado e
poi convalidata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza
dell'8 giugno 2022. Davanti agli 'ermellini' ha sostenuto che
non era stato tenuto nella giusta considerazione il "fine
sociale" che avrebbe animato la sua "battaglia civile". Ad
avviso della Cassazione, i giudici di merito hanno valutato
correttamente "l'insieme dei comportamenti" addebitati, tra i
quali "appostamenti e pubblicazione di post dal chiaro contenuto
minatorio", pubblicati "con frequenza quasi giornaliera", come
idonei "a integrare la condotta materiale di molestia e/o
minaccia" descritta dall'art. 612 bis del codice penale sullo
stalking. In maniera adeguata, scrivono i supremi giudici nel
verdetto 16254 - depositato oggi - la Corte di Milano ha
ricordato "che anche le sole pubblicazioni di post su svariati
social network sono sufficienti, da sole, a integrare il reato
di atti persecutori". Quanto ai post pubblicati, la Cassazione
rileva che erano connotati da "virulenza e ossessiva
ripetitività", oltre che dal carattere "minatorio". (ANSA).