Dalla depressione con caratteristiche psicotiche al raptus su base dissociativa, con un black out della coscienza, alla cosiddetta "sindrome di Medea": le motivazioni che possono portare una madre all'atto estremo di uccidere il proprio figlio possono essere diverse, spiegano all'ANSA le psichiatre Franca Aceti e Nicoletta Giacchetti del Servizio di Psicopatologia Perinatale presso il Policlinico Umberto I di Roma.
In alcuni casi, spiegano, alla base "c'è una grave patologia come la depressione psicotica e talvolta l'uccisione del figlio si accompagna al suicidio della mamma (together forever)". Ci possono essere poi "raptus su base dissociativa", con un black out della coscienza, in donne "insospettabili" che apparentemente non hanno un'evidente patologia psichiatrica ma hanno alle spalle un vissuto angoscioso messo da parte. Alla base di un infanticidio può esserci anche la cosiddetta "sindrome di Medea": l'uccisione del figlio avviene per procurare dolore ad un partner da cui si è stati in qualche modo tradite. "Non esiste salute senza salute mentale perinatale", titolava Lancet nel 2014, perché - affermano le psichiatre - "se si vuole fare prevenzione sul benessere psicofisico degli adulti bisogna intervenire precocemente".
Sulla depressione post-parto il sommerso è enorme: tuttavia, i dati analizzati dalle due esperte indicano che tra l'8,5% e il 13% delle donne va incontro ad un episodio di depressione durante la gravidanza e che circa il 10% delle gravidanze può sfociare in un atteggiamento di rifiuto verso il figlio, fino al rischio di neonaticidio o di infanticidio. I figli di genitori depressi hanno infatti dal 5% al 70% di possibilità di sviluppare da adulti disturbi psichiatrici e sono più facilmente vittime di abusi entro i 10 anni.
Quali sono i campanelli di allarme? Le paure eccessive, l'insonnia marcata, la labilità emotiva, il controllo ossessivo sul sonno e sull'alimentazione del bimbo. "I pediatri e i ginecologi - aggiungono le psichiatre - dovrebbero essere sensibilizzati. Spesso anche la famiglia e i partner tendono a minimizzare, perché nella società una madre in difficoltà è "contro natura".
Nel caso in cui emerga un disturbo clinico durante o dopo la gravidanza servirebbero le unità madri-bambino (mother-baby unit), presenti all'estero ma non in Italia, dove la donna può essere ricoverata con il neonato, supportata da specialisti.
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