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Detenuto suicida nel carcere Due Palazzi di Padova

Detenuto suicida nel carcere Due Palazzi di Padova

Era un giovane recluso dal mese di agosto

VENEZIA, 09 gennaio 2024, 18:36

Redazione ANSA

ANSACheck

. - RIPRODUZIONE RISERVATA

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   Un detenuto si è ucciso impiccandosi ieri sera nella propria cella, nel carcere Due Palazzi di Padova. L'uomo, 27 anni, di origini venete, era rinchiuso dal mese di agosto, per scontare una pena che sarebbe terminata a metà del 2028.

    Era ristretto in una cella al primo piano dell'istituto penitenziario. La notizia del suicidio, diffusa da 'Ristretti 'Orizzonti' tramite le volontarie dell'associazione Granello di Senape, ha trovato conferma a livello di amministrazione penitenziaria. 

   La storia del detenuto suicida è stata ricordata da Manuela, una volontaria che è stata la sua insegnante.

    Si erano ritrovati fra i libri della biblioteca del carcere, lui condannato per un brutto reato e lei, la sua ex insegnante, volontaria nell'associazione che
avvicina i reclusi alla lettura, per rendere meno dura la vita dietro quattro mura. Oggi Stefano (nome di fantasia) non c'è più: si è tolto la volta impiccandosi ieri sera al Due Palazzi di Padova. Lei, Manuela, lo ha voluto ricordare con una lettera aperta - diffusa dalla onlus 'Granello di Senape' - in cui ha fermato alcuni dei momenti più belli e profondi della vita di questo 27enne, che ha deciso di farla finita dentro una cella.

    "L'ultima volta che l'ho intravisto, era lui, camminava mestamente davanti a me nel corridoio con un agente, ma quando sono arrivata al cancello erano spariti - scrive Manuela - l'avevo riconosciuto dalla camminata e dalla figura, piuttosto massiccia". In biblioteca, invece, la donna spiega che era rimasta colpita "dal suo lo sguardo e dal modo di muoversi: erano arrivati in due, l'altro piuttosto sguaiato, lui taciturno, mi aveva fatto tornare in mente un mio alunno delle medie di tanti anni prima. Poi qualche frase e ci siamo riconosciuti. 'Prof, ma aveva i capelli lunghi e biondi…' Già, e lui, Stefano, era un ragazzino molto speciale".

     "Ecco, ci siamo ritrovati in mezzo ai libri - prosegue il racconto - Quando scendeva in biblioteca, durante il mio turno, abbiamo parlato, parlavamo dei suoi progetti, la musica, la scrittura. La seconda volta si interessò al concorso di poesia che stava per scadere; con la collaborazione di un altro volontario riuscimmo a spedire per il rotto della cuffia una poesia dedicata a una ragazza. Il ritmo era giusto, diedi solo qualche aggiustatina con il suo consenso". Non solo la poesia trovava posto nell'animo di Stefano: "la terza volta - scrive sempre Manuela - mi portò tre fogli scritti a mano, con riflessioni filosofiche (la settimana prima aveva preso un testo di Nietzsche). Volle che le leggessi insieme a lui, lo facemmo. Gli chiesi spiegazioni di varie espressioni, e lui mi diede le sue risposte". Erano probabilmente un collage di frasi selezionate da testi filosofici, "quelle che lo avevano colpito, credo, in cui si riconosceva".

    Nello scritto di Manuela la memoria torna poi a quando il ragazzo le capitò tra capo e collo all'inizio dell'anno scolastico, nella scuola media di una casa famiglia in provincia di Padova gestita dall'associazione di cui fa parte: "Mai frequentato regolarmente la scuola, nessuna idea di cosa fosse un qualsivoglia regolamento. Ma sapeva comunque farsi benvolere - prosegue nel racconto - E' stato mio alunno per due anni, prima e seconda media, alla fine ce l'avevamo quasi fatta. Certo, ogni tanto usciva dalla classe e allora… inseguimenti per i corridoi e le scale, cose pericolose, credo che i suoi compagni non si siano mai divertiti tanto. Decidemmo di essere sempre in due, per non dover abbandonare lui o gli altri".

   Quell'anno però finì male: il voto di maggioranza del consiglio scolastico - "ovviamente io non ero d'accordo" - bocciò Stefano. Lui tuttavia si era affezionato ai compagni di quei primi due anni e ai prof: "un giorno - prosegue Manuela - durante una lezione, vidi i ragazzi che guardano con occhi spalancati fuori dalla finestra: era lui, sul cornicione del primo piano che correva intorno alla facciata. Era venuto a salutarci, uscendo dalla finestra della sua aula e raggiungendo la nostra, ci sorrideva, questo era Stefano". Proveniva da una famiglia modesta e numerosa, che faticava a seguirlo. Per due volte
riuscì a raggiungere la cittadina dei suoi (in un'altra provincia) in bicicletta, fuggendo dalla casa famiglia. Manuela conclude: "mi diceva 'non vedo l'ora di avere diciotto anni'. E cosa farai?". "Lui rideva: 'torno a casa mia'".


   

   Si erano ritrovati fra i libri della biblioteca del carcere, lui condannato per un brutto reato e lei, la sua ex insegnante, volontaria nell'associazione che
avvicina i reclusi alla lettura, per rendere meno dura la vita dietro quattro mura. Oggi Stefano (nome di fantasia) non c'è più: si è tolto la volta impiccandosi ieri sera al Due Palazzi di Padova. Lei, Manuela, lo ha voluto ricordare con una lettera aperta - diffusa dalla onlus 'Granello di Senape' - in cui ha fermato alcuni dei momenti più belli e profondi della vita di questo 27enne, che ha deciso di farla finita dentro una cella.

    "L'ultima volta che l'ho intravisto, era lui, camminava mestamente davanti a me nel corridoio con un agente, ma quando sono arrivata al cancello erano spariti - scrive Manuela - l'avevo riconosciuto dalla camminata e dalla figura, piuttosto massiccia". In biblioteca, invece, la donna spiega che era rimasta colpita "dal suo lo sguardo e dal modo di muoversi: erano arrivati in due, l'altro piuttosto sguaiato, lui taciturno, mi aveva fatto tornare in mente un mio alunno delle medie di tanti anni prima. Poi qualche frase e ci siamo riconosciuti. 'Prof, ma aveva i capelli lunghi e biondi…' Già, e lui, Stefano, era un ragazzino molto speciale".

     "Ecco, ci siamo ritrovati in mezzo ai libri - prosegue il racconto - Quando scendeva in biblioteca, durante il mio turno, abbiamo parlato, parlavamo dei suoi progetti, la musica, la scrittura. La seconda volta si interessò al concorso di poesia che stava per scadere; con la collaborazione di un altro volontario riuscimmo a spedire per il rotto della cuffia una poesia dedicata a una ragazza. Il ritmo era giusto, diedi solo qualche aggiustatina con il suo consenso". Non solo la poesia trovava posto nell'animo di Stefano: "la terza volta - scrive sempre Manuela - mi portò tre fogli scritti a mano, con riflessioni filosofiche (la settimana prima aveva preso un testo di Nietzsche). Volle che le leggessi insieme a lui, lo facemmo. Gli chiesi spiegazioni di varie espressioni, e lui mi diede le sue risposte". Erano probabilmente un collage di frasi selezionate da testi filosofici, "quelle che lo avevano colpito, credo, in cui si riconosceva".

    Nello scritto di Manuela la memoria torna poi a quando il ragazzo le capitò tra capo e collo all'inizio dell'anno scolastico, nella scuola media di una casa famiglia in provincia di Padova gestita dall'associazione di cui fa parte: "Mai frequentato regolarmente la scuola, nessuna idea di cosa fosse un qualsivoglia regolamento. Ma sapeva comunque farsi benvolere - prosegue nel racconto - E' stato mio alunno per due anni, prima e seconda media, alla fine ce l'avevamo quasi fatta. Certo, ogni tanto usciva dalla classe e allora… inseguimenti per i corridoi e le scale, cose pericolose, credo che i suoi compagni non si siano mai divertiti tanto. Decidemmo di essere sempre in due, per non dover abbandonare lui o gli altri".

   Quell'anno però finì male: il voto di maggioranza del consiglio scolastico - "ovviamente io non ero d'accordo" - bocciò Stefano. Lui tuttavia si era affezionato ai compagni di quei primi due anni e ai prof: "un giorno - prosegue Manuela - durante una lezione, vidi i ragazzi che guardano con occhi spalancati fuori dalla finestra: era lui, sul cornicione del primo piano che correva intorno alla facciata. Era venuto a salutarci, uscendo dalla finestra della sua aula e raggiungendo la nostra, ci sorrideva, questo era Stefano". Proveniva da una famiglia modesta e numerosa, che faticava a seguirlo. Per due volte
riuscì a raggiungere la cittadina dei suoi (in un'altra provincia) in bicicletta, fuggendo dalla casa famiglia. Manuela conclude: "mi diceva 'non vedo l'ora di avere diciotto anni'. E cosa farai?". "Lui rideva: 'torno a casa mia'".

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