Chiusi nei bunker per ore.
Impossibile l'attività operativa di monitoraggio della Blue Line. Col rischio concreto di finire sotto il tiro israeliano anche nelle proprie basi. Ha parlato di "frustrazione" il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Luciano Portolano, per definire lo stato d'animo dei mille militari italiani di Unifil.
Bloccati da regole d'ingaggio "inadeguate" che il ministro Guido Crosetto da mesi sollecita l'Onu di cambiare. Ma in questa fase la prima preoccupazione del titolare della Difesa è la sicurezza del contingente nazionale, a maggior ragione dopo le dichiarazioni odierne del premier Benyamin Netanyahu ed il nuovo 'incidente' con due carri armati entrati in una base delle Nazioni Unite.
C'è stata la convocazione dell'ambasciatore israeliano, la rabbia espressa al telefono da Crosetto al collega Yoav Gallant, ma Idf tira diritto. Vuole disinnescare tutte le postazioni di Hezbollah nel sud del Libano in modo da far rientrare nelle proprie abitazioni i 60mila profughi sfollati dal nord del Paese. Ed i caschi blu si trovano sulla linea del fuoco. Una situazione inaccettabile per il ministro della Difesa che si sta spendendo anche con i colleghi dei principali Paesi contributori della missione per cercare una posizione condivisa da rappresentare al più presto in sede Onu. Se ne parlerà anche alla riunione del G7 Difesa in programma nel weekend a Napoli.
Ma il tempo stringe. Se n'è perso anche troppo in passato. La mancata implementazione della risoluzione Onu 1701 ha favorito negli anni l'insediamento di Hezbollah in quella che doveva essere un'area 'cuscinetto' nel sud del Libano. E qui si arriva al tasto dolente delle regole d'ingaggio di Unifil. Il contingente multinazionale doveva bloccare ogni milizia armata nella zona, ad eccezione dell'esercito regolare libanese. Ma con le mani legate: ai caschi blu è infatti consentito l'uso della forza solo per autodifesa. Si tratta, ha sottolineato il generale Portolano, di "regole non proporzionali ai compiti assegnati al contingente, tra cui la capacità e la necessità di disarmo dei gruppi armati in Libano, nella fattispecie Hezbollah".
Ed è difficile ora pensare che Unifil si possa contrapporre a Idf. In questi giorni non c'è stato neanche il ricorso all'autodifesa nei casi di attacchi israeliani che hanno fatto feriti tra i militari delle Nazioni Unite. Chiara l'indicazione a scongiurare un casus belli. Cosa fare dunque? Chiudersi nei bunker in attesa di una soluzione diplomatica. "Io - ha riferito il capo di Stato Maggiore, che tra il 2014 ed il 2016 ha guidato Unifil - sento quotidianamente i nostri soldati, La loro reazione è estremamente professionale: sono a conoscenza dei rischi e delle regole d'ingaggio e vivono con una certa frustrazione il fatto che le loro attività operative sono limitate dalla presenza degli israeliani in un'area sotto la responsabilità dell'Onu".
Intanto, è stata fortemente ridimensionata l'altra missione italiana in Libano, quella bilaterale, Mibil, che ha il compito di formare i militari libanesi. Il grosso dei circa 200 italiani impegnati è rientrato da Beirut per la mancanza delle condizioni di sicurezza.
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