Sono diventate oltre 70 le società
scientifiche preoccupate per minori fondi agli atenei e per un
"ridimensionamento dell'università e della ricerca pubblica"
."Il mondo dell'università e della ricerca pubblica - scrivono -
è stato investito negli ultimi mesi da politiche del governo che
introducono importanti cambiamenti.
"Come Presidenti di Società scientifiche italiane, che
rappresentano migliaia di docenti universitari e ricercatori del
Paese - impegnati ad affermare la ricerca italiana nel contesto
internazionale - non possiamo condividere la deriva che si
prospetta per la nostra università", scrivono.
E aggiungono che sul piano del finanziamento, "gli ultimi
anni avevano consentito un certo recupero, anche grazie ai
finanziamenti straordinari e temporanei del PNRR, avvicinando la
spesa per ricerca pubblica allo 0,75% del PIL. Era questo
l'obiettivo indicato nel 2022 dal rapporto del "Tavolo tecnico"
insediato dal governo di Mario Draghi". Mentre a partire da
quest'anno "si profila una preoccupante riduzione del
finanziamento dell'università e della ricerca pubblica. La
distribuzione delle risorse che si prospetta - attraverso i
criteri adottati e i meccanismi premiali - sta portando a
maggiori disparità tra grandi atenei e università "periferiche".
Nel quadro europeo, l'Italia - ora agli ultimi posti nella UE in
termini di percentuale di laureati sugli occupati - aggraverebbe
le distanze nei confronti dei maggiori paesi in termini di
risorse disponibili. È necessario che la Legge di Bilancio 2025
assicuri un aumento delle risorse per l'università e la ricerca,
in particolare per quanto riguarda la quota non vincolata
dell'FFO".
Sul piano del personale, nei prossimi tre anni intorno al
10% dei professori ordinari e associati andrà in pensione.
"Anziché favorire nuovi concorsi, il governo ha rallentato il
turnover e creato incertezza sul reclutamento". Nel corso di un
decennio, circa 15 mila ricercatori e ricercatrici italiane
hanno trovato lavoro all'estero." E ancora: "anziché favorire un
"ritorno dei cervelli" e l'attrazione di personale qualificato
dall'estero, le politiche del governo rischiano di condurre a
una maggior emigrazione". È necessario che le nuove regole e le
risorse per il reclutamento consentano di rinnovare il personale
docente di ruolo e ridurre le condizioni di precariato.
Infine, anche sul piano della qualità della ricerca - un tema su
cui si è molto insistito negli ultimi anni, anche con
l'introduzione dall'Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) -
ci sono preoccupanti segnali di ritorno indietro", concludono.
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