Diana Angela Formaggio
Quando entra in una casa per
soccorrere una donna che ha chiesto aiuto la prima cosa che fa è
"abbracciarla, farla sentire sicura", quando è in pattuglia e
qualcosa non le torna, interviene senza esitazione e non si
ferma neppure quando si tratta di gettarsi in un inseguimento
per fermare un fuggitivo in auto. Alle donne vittime di violenza
dice "non perdonate, non nascondetevi i segnali che vi dicono
quest'uomo è tossico e vi fa male. Non c'è amore dove c'è
violenza". E non sono solo i pugni e le sberle che devono
preoccupare "c'è la violenza psicologica che è ancora più grave
che rende succubi ed è la meno riconoscibile dalle vittime".
Lei è Cristina Brignolo, 38 anni, Piemontese di origine, tre
figli di 13, 10 e quasi 5 anni, l'unica donna al volante del
Nucleo Radiomobile dei carabinieri di Ancona, "ho lottato per
far parte del nucleo Radiomobile, c'erano resistenze ma il mio
generale ha avuto fiducia in me". Operativa su turni h24, sempre
in prima linea nel rispondere alle chiamate, una forte empatia
verso chi soffre una sola preoccupazione "con quello che vedo ho
paura di essere troppo dura con i miei figli". "Non ho paura e
non mi tiro mai indietro" anche se ogni tanto "il mio collega
deve tenermi a bada". Le emergenze che affronta quotidianamente
sono soprattutto i "codici rossi e la droga". Ma è la violenza
di genere "non solo di mariti, compagni presenti o ex, ma anche,
dei figli verso i genitori, soprattutto le madri" a non darle
tregua, a farla soffrire quando non riesce a "liberare" la
vittima e a convincerla che "una alternativa c'è sempre".
Soffre quando la donna non vuole denunciare: "abbiamo le mani
legate - ammette - e allora entra in gioco la capacità di
convincere la vittima che non è sola, che ci sono le
associazioni e le strutture protette che possono accoglierle
anche con i loro figli". Cristina affronta ogni giorno, insieme
ai suoi colleghi, situazioni critiche ma "è quello che ho
scelto e per cui mi sono battuta, aiutare le persone e farlo per
strada al volante della gazzella, senza esitazioni".
"Un giorno - è il suo racconto - siamo intervenuti dopo la
chiamata al 112 di una bambina di 7-8 anni che sentiva le urla
della madre. L'ex compagno l'aveva aspettata fuori e l'aveva
picchiata. Non era la prima volta e la figlia, nonostante fosse
terrorizzata e forse perché istruita dalla mamma, ha dato
l'allarme. Siamo arrivati subito, l'uomo ci aspettava fuori
dell'abitazione. 'Sono stato aggredito' - si è giustificato con
il mio collega - era convinto di non aver fatto nulla di male.
Mi sono precipitata all'interno dell'appartamento. Ho trovato
la bimba scossa e la donna terrorizzata. L'ho abbracciata e
rassicurata, ho chiamato il 118 e intanto abbiamo fatto avvisare
i genitori". Dopo i primi momenti chiedo cosa le accade.
"Inizia un dialogo in cui spiego che lo può denunciare, le
dico che può chiedere di andare in una struttura protetta". E la
convinci? "Purtroppo spesso la donna ritiene di essere lei il
problema, perdona la violenza quando non c'è un danno grave ed
evidente". In quel caso la donna ha poi denunciato l'ex compagno
ed è scattato il braccialetto elettronico "una soluzione non
sempre sufficiente" e "purtroppo nel 90% dei casi prevale la
paura a denunciare e per me è una sconfitta perché so che le
violenze si ripeteranno".
Non riuscire a dare consapevolezza alla vittima che "vive in
uno stato di costrizione, o dove la gelosia è già degenerata nel
controllo totale" per Cristina significa aver perso. "Io mi
immedesimo nella donna, nella paura che leggo negli occhi dei
loro figli, non posso farne a meno" e "se vedo qualcosa che non
mi quadra devo andare fino in fondo anche se purtroppo non
sempre si riesce a far accettare una prospettiva diversa".
Cristina è 'tosta' dicono i colleghi lei abbraccia le vittime
anche se "non è una cosa da carabiniere" si schernisce.
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