"Le condizioni in cui cecilia Sala è detenuta sono tremende, nessuno dovrebbe essere tenuto in quelle condizioni. I diritti umani dovrebbero essere garantiti in qualsiasi Paese". A parlare all'ANSA è Giuliana Sgrena, giornalista e scrittrice che fu sequestrata in Iraq, a Baghdad, nel 2005 da parte di terroristi islamisti in pieno giorno.
Sgrena era all'epoca giornalista del Manifesto e il suo rapimento durò un mese. I suoi sequestratori diffusero un video con la prigioniera e le loro richieste: il ritiro del contingente italiano dall'Iraq. Per chiedere la sua liberazione e sollecitare il governo italiano ad agire in tal senso si svolse a Roma il 19 gennaio una manifestazione che richiamò mezzo milione di persone.
"L'essere detenuta in un Paese che non è il tuo - racconta - è qualcosa che ti destabilizza perché sei tagliata fuori da tutto, puoi solo immaginare le reazioni che avvengono nel tuo Paese. Io sono stata in balia delle emozioni per molti giorni, avevo momenti di disperazione, non avevo alcun tipo di riferimento e soprattutto non credevo a nulla di ciò che mi dicevano. Stare un mese senza nessun tipo di notizia è gravissimo".
Giuliana Sgrena sottolinea quanto siano importanti queste ore per la liberazione di Cecilia Sala: "Inutile dire che la diplomazia gioca un ruolo fondamentale. Bisogna fare tutto il possibile perché questa giornalista sia liberata il più in fretta possibile, anzi, immediatamente, trovando le formule più adatte per far valere questa richiesta".
Ripercorrendo il suo mese di prigionia, Sgrena ricorda che le avevano "tolto tutto, anche l'orologio, non avevo quindi nemmeno la percezione del tempo che passava. A Cecilia hanno tolto gli occhiali da vista. Sono tutte cose molto destabilizzanti psicologicamente, mirate a creare insicurezza". Come l'assenza di un letto e la luce al neon accesa 24 ore su 24. Non ricevetti alcun tipo di violenza fisica e mi auguro che per Cecilia sia lo stesso, anche se la violenza psicologica è davvero terribile. Dal carcere di Evin escono spesso notizie di violazione dei diritti umani, soprattutto nei confronti delle prigioniere curde".
Infine una riflessione sul giornalismo: "Fare questo lavoro è diventato molto rischioso, lo è sempre stato in verità, ma adesso di più. Basti pensare ai giornalisti morti in Ucraina e a Gaza. Se non ti schieri con una o con l'altra parte diventi facilmente un bersaglio, una vittima".
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