Fuori concorso arrivano Adriano Giannini e Valeria Golino con IL COLORE NASCOSTO DELLE COSE di Silvio Soldini, che racconta l'incontro fra Teo, un uomo in fuga da tutto e Emma che ha perso la vista a sedici anni, ma non ha lasciato che la sua vita precipitasse nel buio.
Valeria Golino, la vita vista senza occhi - "Non vedere, vedendoci. Sviluppare la capacità di capire il tuo mondo da un punto di vista completamente diverso dal tuo, diventare a poco a poco Emma, che a 16 anni ha perso la vista, e scoprire Il Colore nascosto delle cose" dice all'ANSA Valeria Golino, protagonista del film di Silvio Soldini, oggi fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia e da domani in sala in 200 copie da Videa. Un film sentimentale che racconta di Teo (Adriano Giannini), "un cialtrone che passa da un letto all'altro, inventando scuse per non restare fino alla mattina, in fuga dalle responsabilità e da se stesso" fino a quando non incontra Emma, un'osteopata che gira per la città col suo bastone bianco, decisa, autonoma. "Emma è fragile ma non debole" dice la Golino di quella donna che sembra non rassegnarsi al suo handicap nella sua determinazione a voler fare qualunque cosa, dal giardinaggio ad andare al cinema. Teo scommette con un collega che si porterà la cieca a letto ma conoscendola la scopre diversa da tutte le donne incontrate prima, attirato da lei e dal suo modo di stare al mondo. Il film, racconta Soldini, nasce dall'esperienza "fatta per un documentario, Per altri occhi, girato qualche anno fa con persone non vedenti. Il contatto con queste persone mi ha fatto ripensare agli stereotipi che abbiamo sulle persone disabili, la conoscenza è il primo modo per abbatterli, così è venuta fuori l'idea di farne un film di finzione". Il colore nascosto delle cose passa fuori concorso, ma anche in gara non avrebbe sfigurato: "Mi sta benissimo così. Già c'è lo stress per l'uscita in sala di domani, quello del concorso meglio evitarlo", risponde Soldini.
Brutti e cattivi, mai così scorretti su disabilità - Il Papero (Claudio Santamaria) non ha le gambe, Ballerina (Sara Serraiocco) non ha le braccia e fa tutto con i piedi, dal make up al sesso, Plissé (Simoncino Martucci) è un nano rapper e Giorgio Armani detto il Merda (Marco D'Amore) è un rasta strafatto di marijuana. Una corte dei miracoli così al cinema non si era mai vista, un gruppo di disabili che una volta tanto non fanno pena per niente. Sull'onda lunga di Smetto quando voglio e Lo chiamavano Jeeg Robot, arriva la dark comedy più politicamente scorretta degli ultimi anni: Brutti e cattivi, l'ottimo esordio di Cosimo Gomez, in concorso a Orizzonti oggi a Venezia 74, in sala dal 19 ottobre per 01. Il gruppo diventa banda quando decide di smetterla con l'elemosina fuori della chiesa facendo pietà alle persone e di fare i soldi veri rapinando una banca. Sognano in grande, gli ostacoli nel piano criminale non ci sono e pazienza se non hanno gambe e braccia e la sedia a rotelle non corre come una Ferrari. La storia si fa sempre più assurda e splatter, di mezzo ci sono pure la mafia cinese e il racket delle prostitute, nella trama scritta dallo stesso Gomez e da Luca Infascelli in tema di oltraggio alla scorrettezza c'è di tutto. "Cattivi, avidi, spietati anche i disabili sono come noi - scherza Gomez che con il soggetto di Brutti e cattivi aveva vinto il Solinas nel 2012 - in genere verso di loro abbiamo pietismo, magari pure falso, un sentimento che loro tra l'altro detestano. L'idea di partenza è stata questa banda di disabili cattivissimi".
Kechiche, inno alla vita tra destino e amore - Se voleva raccontare la giovinezza, con tutto il suo rumore, inconcludenza, dispersione, speranze e amori, 'Mektoub, My Love: Canto Uno' di Abdellatif Kechiche ci è riuscito anche se le tre ore di durata del film, in concorso per la Francia in questa 74/a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, sono davvero troppe. Incipit con citazione sacra, 'Dio è la luce del mondo' e sprazzi di Mozart (Ave Verum Corpus) e Bach (Cantate), per un film, accolto stamani tra applausi e dissensi, ambientato in un paesino di pescatori nel Sud della Francia nell'agosto del 1994. Protagonista Amin (Shaïn Boumedine), aspirante sceneggiatore e fotografo che vive a Parigi, in vacanza nella sua città natale. Èl'occasione, per questo timido artista, di ritrovare famiglia e amici. E' il momento di incontrate il 'dionisiaco' cugino Tony (Salim Kechiouche), tombeur des femmes senza remore, e la sua migliore e bellissima amica Ophélie (Ophelie Bau), di cui è chiaramente innamorato. "E' un inno alla vita, al corpo, al nutrimento questo film" spiega Kechiche oggi al Lido dopo molte domande sul senso di questo lavoro (in sala in Italia con la Good Films) diviso in tre parti. E ancora il regista, Palma d'oro a Cannes nel 2017 con 'La vita di Adele': "Mektoub significa destino in arabo. E quest'opera, nel suo insieme, pone il significato del destino perché l'amore si associa al destino, al fato".
In concorso pedofilia e impunità in Cina - Una storia di pedofilia e impunità in Cina, ma dai toni molto sfumati. E' quella che propone la regista Vivian Qu in 'Angels Wear White', opera in concorso in questa 74/a edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica. Di scena il racconto di due studentesse di dodici anni che vengono assalite da un influente uomo di mezza età in un motel di una piccola cittadina di mare. Unica testimone Mia, una receptionist abusiva e minorenne che filma sul suo cellulare alcune sequenze. Ed esattamente quelle in cui si vede l'uomo spingere le due bambine nella sua stanza. Ma, per paura di essere licenziata, Mia non denuncia il fatto alla polizia che nel frattempo ha iniziato a indagare. In un primo momento un'opportuna perizia medico-legale rivela che il rapporto dell'uomo con le due bambine c'è stato davvero, ma poi le cose prendono una piega diversa e sulla ordinaria giustizia prevale la corruzione. Ma i guai per le due giovanissime vittime e per Mia non finiscono qui.