- E' il film della vita, "mi sono avvicinato al cinema forse per questo, ma se l'avessi fatto come primo film sarebbe stato pallosissimo, magari didascalico, sarebbe stata la storia di un poveraccio che vive la crisi di genere, invece ho aspettato, ho consapevolezza e cose come queste bisogna riuscire a raccontarle quando si sa parlare". In un'intervista all'ANSA Emanuele Crialese, in concorso oggi con L'Immensità a Venezia 79, terzo dei cinque italiani in gara, si emoziona, parla con trasporto, usa parole importanti come "rinascita". Ci si può mettere una vita per raccontarsi come si è, "come sono sempre stato, non ho ricordi di me diversi da quelli, non sono scelte, bisogna solo credere in se stessi come si è".
Venezia, sulla Mostra 'L'immensita'' di Emanuele Crialese
Non vuole che si definisca L'Immensità il film del suo coming out, "io sono sempre stato out!, non sono una rockstar, cosa dovrebbe importare alla gente, è piuttosto un film che mi riguarda molto da vicino, racconta in chiave poetica la mia infanzia, non c'è nessuna trasformazione o transizione, sarebbe una disinformazione". Certo in quella memoria c'è una casa degli anni '70 in uno dei quartieri in costruzione a Roma in quel periodo, "identica alla mia" e poi ci sono le dinamiche familiari, le gioie di ballare le canzoni di Raffaella Carrà, ma soprattutto i dolori. "Mia madre non sapeva dove sbattere la testa - si commuove il regista - si nascondeva con me proprio come accade nel film, cercava di proteggermi, ma io soffrivo del dolore che le davo. Fin quando più avanti non sono riuscito a cambiare la a con la e - il suo nome di nascita al femminile - e lasciare un pezzo del mio corpo, questo è stato negoziare la condizione. Io sono e non sono e voglio rimanere così e spero di non scioccare proprio nessuno. Io sono figlio del mio tempo, ora per fortuna i tempi sono cambiati, i bambini in questo sono grandi maestri, sanno usare le nuove parole, il gender fluid ad esempio, e ci dicono 'maschio - femmina sono categorie, siamo quello che siamo, ossia esseri umani prima che definiti sessualmente'. Oggi - aggiunge Crialese - c'è un'altra società rispetto a quella in cui sono cresciuto io, ma bisogna sostenere le famiglie e non lasciarle sole come è stata mia madre all'epoca". La Roma del film "è un paesaggio astratto, metafisico. Per me che amo i grandi paesaggi aperti - prosegue il regista di Respiro e di Terraferma - girare tutto il film dentro una casa mi sembrava impossibile, invece, forse perché è la riproduzione esatta della mia da piccolo, mi sono sentito bene. Per tanto tempo ho pensato: prima o poi racconto questa storia autobiografica, sta lì, ti ossessiona, poi è arrivato il tempo e tutto è andato come doveva andare".
Se Vincenzo Amato, il padre, era una scelta scontata, essendo il suo attore feticcio, quella della madre così come dell'adolescente Adriana che rifiuta la sua identità erano fondamentali. "Penelope Cruz è l'archetipo di donna e madre, è come la Penelope di Ulisse. E' stata generosissima, i ragazzi sul set la vedevano come una dea e lei giocava con loro: è stata una magia". In Luana Giuliani, che interpreta Adriana che vuole farsi chiamare Andrea, "ho rivisto me stesso". Il loro rapporto è il cuore della storia, "forse perché i personaggi femminili sono quelli che mi interessano davvero, gli uomini invece sono una noia!". Infine la Carrà, una sorta di nume tutelare dell'Immensità: "La scena del ballo sulle note di Rumore che fa Penelope con i suoi ragazzi è stata girata il giorno in cui il produttore Mario Gianani è venuto a dirci che Raffaella, di cui aspettavamo una visita sul set, era morta, è stata una strana sincronia". Il film, sceneggiato con Francesca Manieri e Vittorio Moroni, prodotto da Wildside (una società del gruppo Fremantle) e Warner Bros. Italia con partner francesi, dopo la prima di Venezia sarà in sala con Warner dal 15 settembre.
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