Un buco nella terra, scavato direttamente nel giardino di casa e protetto da un capanno degli attrezzi. Giuseppe e Raffaele Izzo, i due tombaroli condannati a settembre di quest'anno per gli scavi clandestini e la razzia che ha martoriato per anni la grande villa suburbana di Civita Giuliana, hanno nascosto così per anni la loro attività di scavo, portata avanti con tenacia scavando cunicoli per decine di metri senza rispetto per muri, affreschi e meraviglie della stupefacente dimora patrizia che stavano devastando e saccheggiando. Per un soffio non sono riusciti a mettere le mani sul meraviglioso carro cerimoniale che gli archeologi del Parco hanno riportato alla luce nel febbraio scorso, anche se c'è chi dice che ne avessero già trovato e venduto un altro. La procura di Torre Annunziata, supportata dai carabinieri dei beni culturali li ha fermati ed è stato proprio per stoppare definitivamente le razzie che nell'agosto del 2017 gli archeologi del parco, guidati allora da Massimo Osanna, hanno aperto il primo cantiere. Nel frattempo c'è stato un processo in cui il Parco si è costituito parte civile e che a settembre 2021 si è concluso in primo grado con la condanna di entrambi, 3 anni e 6 mesi al padre, 3 anni al figlio, ma anche con una richiesta di danni di 2 milioni di euro, secondo la stima fatta dal Parco Archeologico, che ora potrebbe servire a rendere più facile l'esproprio dei terreni. La casa dei tombaroli però è ancora lì, affacciata sugli scavi che da una parte all'altra della strettissima via di Civita Giuliana, sono ora condotti dal team del Parco. Il contesto è quello di un quartiere cresciuto senza regole, fitto fitto di case e casette, capannoni, piccoli giardini, orti. Ma che sotto queste terre ci fosse una delle ville romane più significative del territorio vesuviano, con ambienti riccamente affrescati e arredati, sontuose terrazze digradanti che affacciavano sul golfo di Napoli e Capri, oltre ad un efficiente quartiere di servizio, con l'aia, i magazzini per l'olio e per il vino, e ampi terreni fittamente coltivati, si sapeva da tanto tempo, almeno dagli inizi del secolo scorso, quando il marchese Giovanni Imperiali, marito della proprietaria di queste terre, si imbatté casualmente in alcuni reperti e decise con l'autorizzazione dello Stato di avviare uno scavo. Ne vennero fuori alcuni ambienti riccamente affrescati insieme a suppellettili, gioielli e oggetti che il marchese in parte vendette ai musei ma che oggi sfortunatamente sono andati perduti, anche in seguito al bombardamento che nel 1943 distrusse l'Antiquarium del parco. Di quegli ambienti di lusso giudicati alla stregua della celeberrima Villa dei Misteri, ci restano oggi solo alcune foto in bianco e nero scattate nel 1908 dalla soprintendenza prima che venisse riseppellito tutto. Altri interventi parziali, a metà degli anni Cinquanta, hanno fatto scoprire anche un imponente porticato sul quale si affacciavano diversi ambienti affrescati. Infine l'avventura degli scavi di oggi, che ha già portato a tante importanti scoperte, dai resti dei cavalli bardati al maestoso carro da cerimonia tanto cercato dai tombaroli, la stanza affrescata di una bambina di casa, la piccola "Mummia", i resti di due fuggitivi, forse proprio uno dei signori di casa accompagnato da uno schiavo, fino all'umile stanza dove vivevano gli schiavi stallieri. "E' l’ennesima conferma della sinergia tra la direzione del Parco Archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e della efficacia del protocollo d’intesa che è stato stipulato", commenta oggi il Procuratore capo, Nunzio Fragliasso. Anche per questo l'accordo di collaborazione rimane in piedi, le attività investigative e di ricerca, assicura il procuratore, continuano. A Civita Giuliana e non solo.
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