(di Francesco Gallo)
"I napoletani sono il popolo più triste del mondo e i vomeresi, come me e Sorrentino, i più tristi di tutti. Siamo un po' in un bozzolo, persone che fanno fatica ad esprimere i sentimenti, ma farmi interpretare il professore di antropologia Marotta in Parthenope è stato davvero un gran bel regalo". Così Silvio Orlando al Filming Sardegna Festival racconta la sua partecipazione al film di Sorrentino in concorso al Festival di Cannes e nelle sale italiane dal 24 ottobre. Ma questa è solo la punta di un iceberg di un racconto che tocca temi come il mestiere d'attore, la recitazione come atto politico e, infine, lo scandalo di un certo cinema italiano del passato che era sessuo-maniaco e in cui la donna sul set era poco più di una preda, selvaggina.
"Tra le varie anime possibili di Napoli, in Parthenope c'è quella colta e erudita. Io e Paolo siamo uguali, a parte la genialità" dice subito Orlando.
Mentre della recitazione spiega quale sia il suo 'effetto speciale' : "Mi metto sempre al servizio della storia e poi trovo una mia misura. La mia storia attoriale è stata sempre quella di partire da me, da come sono fatto, dalla mia vita e questa attitudine ha forse potenziato l'aspetto umano dei miei personaggi che è un po' la mia cifra, il mio 'effetto speciale'.
Il fatto è che quelli della mia generazione si sentivano importanti come esseri umani aldilà del fatto di essere attori.
Noi pensavamo di essere 'soggetti politici' e il nostro stesso privato diventava così importante anche per la sorte dell'umanità. Ci sentivamo preziosi. Per gli attori di oggi è diverso, hanno un atteggiamento più timido, sono straordinari, forse molto più bravi di noi ma non si sentono utili per le sorti del mondo".
Recitare è un atto politico? "Sì certamente, ma non ideologico.
Ci vogliono responsabilità e presunzione nel mettersi nei panni di un altro essere umano e anche per questo è uno dei più dei mestieri più politici che ci sono, un mestiere che non può mai essere neutro".
Per gli attori che differenza c'è con l'America ? "Li c'è una macchina diversa dalla nostra che valorizza di più gli attori, ma alla fine penso che chi fa questo mestiere anche in Italia è un miracolato. Ho fatto la mia strada senza scendere a troppi compromessi, insomma non mi sento in credito di qualcosa e comunque non mi riconosco nel partito dei 'non abbastanza riconosciuti'".
A proposito di #MeToo e del cinema del passato dice poi con coraggio Silvio Orlando: "Anche io ho avuto degli sbandamenti sessuo-maniaci. Il cinema allora era d'altronde molto sessuo-maniaco. Per fortuna il #MeToo ha migliorato la qualità del nostro lavoro, i set sono ora luoghi più vivibili, più tranquilli e ci sono poi molte più donne impegnate nella produzione. Sappiamo bene invece com'era il cinema degli anni Settanta, le donne allora erano prede, selvaggina, merce. Era una cosa questa più sottile di ogni violenza fisica, era una legge non scritta, impalpabile: una donna che non stava al gioco diventava un elemento di disturbo nella macchina maschile".
Quello che conta per l'attore è comunque la dignità.
"Non sono mai stato un fanatico, un settario tanto da essere uno dei pochi uomini sulla terra ad aver lavorato contemporaneamente con Nanni Moretti e Berlusconi. Facevo quello che mi serviva, che mi faceva crescere senza perdere però il mio baricentro, l'importante per me era mantenere la dignità. La mia ideologia in fondo è solo quella della dignità".
Un personaggio rimasto nel cassetto? "Mi piacerebbe fare una biografia su Eduardo e Peppino De Filippo. Il primo aveva l'intelligenza dello scrivere, l'altro il talento puro. Tra l'una e l'altre vince sempre la prima, ma io avrei fatto comunque Peppino anche se il talento può essere una gabbia".
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