(di Francesca Pierleoni)
Un adolescente "che attraverso i
sogni scopre qualcosa di se stesso che non sapeva nella vita
vera. Qualcosa che lo turba, lo smuove, lo porta a a farsi delle
domande, a cercare di comunicare con se stesso per scoprire chi
è e qual è la propria strada, il proprio destino". Così il
regista Giulio Donato descrive all'ANSA il protagonista
adolescente, Francesco (Francesco Grillo), cresciuto in un
paesino tra le montagne calabresi, che affronta un percorso alla
ricerca della sua identità, anche sessuale, in Labirinti, la sua
opera prima che debutta nelle Giornate degli Autori (nella
selezione Confronti) alla Mostra del Cinema di Venezia.
Il film, prodotto da Life Cinema, che ha nel cast (quasi
tutto di non professionisti) anche attori come Antonio Gerardi,
Massimo De Santis e il cantautore Finn Ronsdorf, unisce uno
sguardo quasi documentaristico che segue gli appuntamenti della
vita in un paese o immersi nella natura, tra mare e boschi,
silenzi e bellezza, ma anche frustrazione e rabbia, alle
aperture a una dimensione onirica. Si mette in scena il legame
tra il silenzioso Francesco e l'estroverso Mimmo (l'esordiente
Simone Iorgi) amici fraterni fin da bambini. Arrivati alla
soglia dell'età adulta, li separano anche in modo violento, le
diverse idee sul proprio futuro, partire o restare, uscire dal
branco o adattarsi. Incognite che portano Francesco, grazie
anche a un vecchio libro trovato per caso, a cercare le risposte
per domande sempre più intime.
Il film è anche "una storia di formazione, di crescita"
spiega il regista, classe 1993, aiuto regista e producer su più
di sessanta set cinematografici in Italia, Norvegia, Brasile,
Germania e Messico, con registi come Abel Ferrara, Asia Argento,
Roberta Torre, Giada Colagrande, e come assistente di produzione
con Gianni Zanasi e Claudio Caligari. "Inizialmente volevo
girarlo nel Lazio, perché quelle che racconto sono sensazioni
abbastanza universali, voler partire, spiccare il volo, uscire
dalla propria bolla di confusione. Poi, però, dato che conoscevo
bene un paesino in provincia di Vibo Valentia, perché mio padre
viene da lì e io ci ho passato tutte le estati da piccolo, ho
capito che sarebbe stato il posto ideale". Sia "esteticamente,
per la natura, al tempo stesso opprimente, travolgente, e
potente, ma anche perché riflette ancora tanti luoghi comuni,
tante oppressioni, tanta chiusura mentale estremamente diffuse e
che non sono legate a un luogo geografico".
Donato percorre la storia con "uno sguardo nostalgico, che è
quello che abbiamo verso l'infanzia e l'adolescenza. Tutti in
qualche modo abbiamo affrontato in quelle fasi la voglia di
emancipazione, la nascita e l'inseguimento dei propri sogni". Il
cineasta torna con uno tocco dolce amaro "a guardare qualcosa
che era vitale ma anche violento e controllabile, quella
sensazione un po' di essere sommersi dalle emozioni, dalle
situazioni che si poteva provare a quell'età in cui era tutto
nuovo".
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