(di Marzia Apice)
KATERINA POLADJAN, LA RESTAURATRICE
DI LIBRI (SEM, pp.224, 18 Euro). Ago e filo, e poi nodi e ancora
nodi, tra carta, cuoio, legno e pigmenti naturali, per legare
insieme la storia al presente. Ma c'è soprattutto la memoria,
personale e collettiva, come luogo in cui tornare per crescere,
come strumento irrinunciabile per interrogarsi su quanto il
passato sia ancora parte del presente e faccia da monito e,
insieme, da guida. Ha un fascino discreto, spigoloso, che si
insinua lentamente e costruisce un'atmosfera indimenticabile,
l'ultimo libro di Katerina Poladjan "La restauratrice di libri",
edito da SEM. Con una penna che si distingue per l'intensa
incisività dei dialoghi ma anche per il talento nel restare in
bilico tra storia e finzione, l'autrice racconta di Helene,
restauratrice di libri tedesca arrivata a Erevan per imparare le
tecniche della legatoria armena. Mentre si trova a restaurare un
evangeliario del XVIII secolo, passato di mano in mano fino ad
arrivare, nel 1915, a una famiglia sulla costa del Mar Nero, la
donna si lascia incuriosire dalla storia degli ultimi
proprietari del libro, i fratelli Anahid e Hrant, in fuga dal
genocidio armeno. Helene si trova di fronte all'enigma di una
frase che si legge a malapena: "Hrant non vuole svegliarsi".
Partendo da quelle parole, inizia per lei un viaggio dentro e
fuori di sé, alla scoperta delle proprie radici e al tempo
stesso delle vicende di un popolo che mai ha avuto pace nei
secoli e che sempre ha lottato per esistere. Nel suo
peregrinare, con lo sguardo sempre rivolto al maestoso Ararat,
Helene conoscerà un Paese accogliente, dalla forte identità, ma
sempre memore del proprio dolore: in Armenia è impossibile non
toccare con mano quanto il genocidio, l'esilio, il senso di
perdita ma anche la ferita per l'indifferenza degli altri
riguardi ogni cittadino, nessuno escluso.
Indagando la storia dell'evangeliario e procedendo a restaurarlo
(un'impresa tanto affascinante quanto complessa), la donna
conosce e si innamora di Levon, un soldato impegnato nel secondo
conflitto del Nagorno-Karabakh. Ogni passo fatto in avanti nelle
ricerche per il libro, ogni persona incontrata nella sua
permanenza in Armenia, sarà per la restauratrice un insegnamento
di vita, su come non si possa mai davvero sfuggire alla propria
storia, per quanto dolorosa possa essere. In un romanzo
coinvolgente fin dalle prime pagine, in cui una narrazione
"sdoppiata" e dal duplice finale alterna passato e presente,
Poladjan trascina il lettore nell'Armenia di oggi e ne
restituisce l'anima. La scrittrice dipana storie che si
intrecciano e si uniscono esattamente come Helena annoda i fili
dei libri che restaura: attraverso gli occhi della sua
protagonista, Poladjan racconta il genocidio negato e ignorato
degli armeni accanto ai conflitti attuali, per gridare non solo
il loro diritto a esistere ma anche l'importanza della loro
ricca eredità di tradizioni e cultura. Al tempo stesso,
l'autrice celebra il libro come preziosa "patria portatile"
sempre bisognosa di cure, che nei secoli custodisce proteggendo
dall'oblio la storia dei popoli.
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