(di Francesco De Filippo)
LAURA CAPUZZO e EVELINA BATAGELJ
(a cura di), TRE DIARI DELLA GRANDE GUERRA (Gaspari, pp.172;
euro 15,00)
La storia la scrivono i vincitori. La troviamo sinteticamente
riportata in volumi che in poche pagine compendiano secoli di
eventi in Occidente. Poi c'è un livello più dettagliato, è il
certosino lavoro degli storiografi, ricerca tra migliaia di
documenti, talvolta in disaccordo con le teorie comunemente
accettate. Infine, c'è la testimonianza dei presenti:
individuale, parziale ma cristallina, inconfutabilmente vera.
"Tre diari della Grande Guerra" non è un libro che insegue la
verità, né si limita a sottoscrivere quanto annotato dal
singolo: è un tentativo di raccordare diacronicamente il passato
dei testimoni e il presente dei giovani. L'obiettivo è superiore
alle beghe delle diplomazie e alle efferatezze degli eserciti:
evitare che si dimentichi per e avvalorare la pace, status mai
scontato ma da stabilizzare con continuo lavoro.
Umberto Ademollo, Giorgio Nicolich e Andrea Vesnaver non si
sono mai conosciuti, in comune hanno l'aver combattuto la Grande
Guerra (su fronti diversi) e aver fissato su taccuini personali,
con la calligrafia inclinata e ordinata dell'epoca, le
esperienze. I diari non sono esposti al giudizio, a meno che non
siano opera di Giani Stuparich, il cui livello narrativo
anticipa e governa stile e contenuti, o di Ungaretti; entrambi
in guerra in quest'area in quel periodo. "Ci fu tirata una
fucilata. Vidi Loredani che mi precedeva di mezzo passo piombare
a terra … Lo intesi dire: Sono ferito, non posso più muovere le
gambe, mi hanno ammazzato", scrive il giovanissimo triestino
irredentista Nicolich. Le sue descrizioni, il distacco
(apparente) dalla devastazione, a tratti fa pensare all'audacia
raccontata da Ernst Junger. Ben diverso Vesnaver, istriano, di
33 anni, inquadrato in un reggimento austro-ungarico e in
continuo spostamento: Serbia, Russia, Ucraina, Ungheria: "Dela
sono andai diversi in ospital cui piedi iazadi e poi se avemo
scompartido un pochi decua e un pochi de la…".
Taccuini destinati a restare seppelliti nei cassetti che
invece per caso, e per i progetti di recupero storico
dell'associazione triestina Radici&Futuro, sono stati ritrovati
dagli eredi e digitalizzati e analizzati da studenti e
ricomposti in questo libro curato da Laura Capuzzo e Evelina
Batagelj.
Non sono state soltanto risuscitate quelle esperienze: sono
state consegnate alla sensibilità dei giovani. Ama Liliane
Apetogbo, studentessa pordenonese di origini africane, scrive
una verità semplice ma lapidaria dopo aver curato il diario del
giovane tenente piemontese Ademollo: "Il dramma della guerra è
un dramma universale". Le pallottole e la sofferenza non hanno
colore né appartenenza etnica. Un passaggio di quel taccuino
sembra tratto da 'Orizzonti di gloria' di Kubrick: "là vi era
una compagnia di alpini … io ordinai subito fosse cessato il
fuoco e feci presente al capitano che là vi erano i nostri, ne
ebbi per risposta 'Lei pensi a fare il comandante di plotone e
non il comandante di Battaglione chi comanda il Battaglione qui
sono io'".
A ciascuno dei tre diari è dedicato un capitolo che si
conclude con una lettera che i nipoti dedicano ai rispettivi
nonni, ormai scomparsi, autori dei taccuini, per creare un
ideale rapporto intergenerazione. Scrive Claudio Vesnaver al
nonno Andrea: "Guardo la foto e vedo che ti assomiglio, ho gli
stessi tuoi occhi. Forse ho preso tante cose da te. E sono fiero
di questo".
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