L'hanno chiamato intervento
umanitario, oppure operazione di peacekeeping. Ma era una bugia:
la missione italiana in Afghanistan era solo una guerra. Emerge
non solo dalle analisi ma anche dalle numerose testimonianze dei
militari, raccolte da Giampaolo Cadalanu e Massimo de Angelis
nel volume "La guerra nascosta - L'Afghanistan nel racconto dei
militari italiani", appena uscito in libreria per i tipi di
Laterza (206 pagine, 19 euro).
Gli autori sono due inviati di guerra - rispettivamente della
Repubblica e del Tg1 Rai - che hanno passato lunghi periodi di
trasferta fra Kabul, Herat e il resto dell'Afghanistan, sia
"embedded", cioè al seguito delle truppe italiane, sia in
autonomia. Il libro ripercorre la storia della partecipazione
del nostro Paese a Enduring Freedom, ISAF e Resolute Support,
partendo dalle decisioni politiche successive agli attacchi
dell'11 settembre, per arrivare al ritiro d'urgenza. Anche il
contesto globale è illustrato rapidamente, con riferimento
disilluso agli equilibri e agli interessi dei diversi attori in
campo.
Quando la presenza internazionale è stata interrotta con il
ritiro generale nell'estate 2021, il bilancio non poteva essere
considerato lusinghiero, con i talebani che tornavano al potere
e gli afghani abbandonati in fretta e furia. Dopo vent'anni di
presenza occidentale, il Paese asiatico era in condizioni
peggiori di quelle del 2001. Ma nel caso dell'esperienza
italiana si aggiunge l'amarezza delle bugie ufficiali, che hanno
accreditato una visione edulcorata e hanno sempre provato a
tenere nascosta la natura reale della missione. Eppure i soldati
del contingente italiano hanno combattuto, hanno ucciso, sono
caduti. Il bilancio del libro non lascia dubbi: costruito sui
dati ma ancora di più sul racconto in prima persona di chi ha
partecipato alle azioni militari. E proprio le voci dei
protagonisti aprono uno squarcio nuovo sul ruolo italiano. Ci
sono episodi inattesi, come quello rievocato da un militare che
visitò l'Afghanistan in viaggio di piacere prima dell'11
settembre, e si ritrovò come guida turistica gli uomini di Al
Qaeda. Ci sono storie drammatiche, come quelle riferite dagli
incursori delle Forze speciali, raccolti nella Task Force 45,
un'unità di elite la cui esistenza stessa all'inizio era
nascosta all'opinione pubblica. Paradossalmente qualche volta è
la motivazione delle medaglie a rivelare, molto tempo più tardi,
la dinamica esatta di episodi che erano stati taciuti del tutto
all'opinione pubblica.
La ricostruzione dell'intervento rimette in una diversa
prospettiva le versioni ufficiali della Difesa e degli Stati
maggiori, restituisce dignità a chi ha combattuto, ma
soprattutto a chi ha perso la vita in Afghanistan. Ci sono anche
testimonianze di osservatori stranieri, un operatore di Forze
speciali americano e una giornalista canadese, utili a dare la
misura della professionalità e lo spirito di sacrificio messi in
campo dai militari italiani.
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